venerdì 15 maggio 2015

I TAROCCHI & LA STORIA

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I tarocchi sono carte da gioco la cui origine non è stata ancora dimostrata con certezza definitiva. A tal riguardo, le teorie più diffuse ne indicano la nascita in Italia settentrionale, a Ferrara, nel periodo compreso tra la fine del Medioevo ed il Rinascimento. Secondo altre linee di ricerca, tra cui alcune risalenti agli inizi di questo secolo, l'origine sarebbe molto più antica; ma si tratta di teorie propugnate da esoteristi che non posano su alcun dato storico. L'evoluzione di tali teorie fu avviata sul finire del Settecento dal massone francese Antoine Court de Gébelin, propugnatore dell'origine egizia dei Tarocchi, ed ebbe nuovo impulso nella metà dell'Ottocento con l'occultista Eliphas Levi (pseudonimo di Alphonse Louis Constant), che indicava l'origine dei Tarocchi nella Cabbala ebraica. Fu Levi a distinguere le 78 carte del mazzo in "Arcani maggiori" e "Arcani minori". Negli anni a cavallo tra la fine dell'Ottocento ed i primi del Novecento le dottrine esoteriche sui Tarocchi furono fissate definitivamente dagli occultisti francesi Papus (pseudonimo di Gérard Encausse) e Oswald Wirth in una serie di celebri opere ancora in auge. Nei primi decenni del Novecento la "Scuola francese dei Tarocchi" cominciò ad essere soppiantata dalla "Scuola inglese" nata in seno all'Ordine Ermetico della Golden Dawn.

I tarocchi sono diretta derivazione dei geroglifici del Libro di Thoth e rappresentano una sintesi della conoscenza e religione Egizia. I tarocchi sono quindi un alfabeto geroglifico e numerale, riservato in origine ai sommi sacerdoti, che esprime il sapere universale originario, da cui si sono sviluppate le varie culture e religioni.

I tarocchi presentano diverse analogie con lo I Ching, libro custode dell’antica saggezza cinese e risalente a più di 3000 anni fa. L’estrazione casuale dei 64 esagrammi dello I Ching è uno strumento tradizionale di divinazione. Il fatto che siano invenzioni cinesi sia le carte da gioco che la carta e la stampa, rende plausibile che sia in Cina che vadano ricercate le primissime origini dei tarocchi.

I tarocchi nacquero con tutta probabilità nell’Italia del nord, alla corte di Filippo Maria Visconti – duca di Milano – durante la prima metà del Quattrocento. Lo testimoniano i molteplici ritrovamenti di carte, le numerose citazioni in documenti e registri di corte quattrocenteschi, e l’utilizzo nelle carte del sistema di semi tipicamente italiano: spade, bastoni, coppe, e denari.

Durante tutto il Rinascimento le “Immagini degli Dei Antichi” suscitarono nell’osservatore il ricordo dei miti classici ai quali veniva attribuito un grande valore etico e morale. In quell’epoca nacque il gioco dei Tarocchi: una delle più straordinarie realizzazioni dell’Umanesimo italiano. Esso riuniva i più augusti rappresentanti del pantheon greco affiancati dalle virtù cristiane, da immagini allegoriche di condizioni umane e dai simboli dei più importanti oggetti celesti. 

I tarocchi erano un grande gioco di memoria che racchiudeva le meraviglie del mondo visibile e invisibile e forniva ai giocatori istruzioni di ordine tanto fisico, quanto morale e mistico. Infatti, la serie delle virtù (Forza, Prudenza, Giustizia e Temperanza) ricordava loro importanti precetti etici; la serie delle condizioni umane (Imperatore, Imperatrice, Papa, Matto e Giocoliere) rammentava la gerarchia alla quale era soggetto l’uomo; quella dei pianeti (Stelle, Luna, Sole) alludeva invece alle forze celesti che assoggettavano gli uomini, sopra le quali era concepito l’Universo retto da Dio.

Ma l’utilizzazione ludica dei tarocchi prese presto il sopravvento sull’aspetto didattico-morale del gioco, che già agli inizi del Cinquecento non veniva più compreso. A questa incomprensione corrispose un preciso mutamento dell’iconografia delle figure, che si trasformarono di regione in regione secondo i diversi gusti popolari e le correnti di pensiero.

Solo sul finire del Settecento venne riscoperto il contenuto filosofico dei tarocchi ma, partendo da premesse totalmente esoteriche, i nuovi interpreti diedero origine ad una nuova utilizzazione del gioco: magica e divinatoria. In un celebre articolo pubblicato nel 1781 dall’archeologo-massone A. Court de Gébelin è contenuta la frase: “Il libro di Toth esiste, e le sue pagine sono le figure dei tarocchi”. Pochi anni dopo, un altro massone, Etteilla, avviò un grande progetto di restaurazione delle figure, sostenendo di conoscere la struttura del gioco in uso presso gli antichi egiziani. Secondo Etteilla, i primi tarocchi contenevano il mistero dell’origine dell’Universo, le formule di certe operazioni magiche e il segreto dell’evoluzione fisica e spirituale degli uomini.

Da quel momento il gioco dei tarocchi venne indissolubilmente legato al mondo della magia e, con la promessa di traguardi ben più alti della semplice conoscenza del domani, cominciò la grande epoca dei tarocchi occultistici.

I Tarocchi sono un gioco italiano formato da 56 carte numerali dette “a semi italiani” (coppe, danari, spade, bastoni), provenienti dal mondo arabo - che a sua volta derivò i simboli dei semi dall'antica monetazione romana degli Aes - apparse in Italia nel sec. XIV e da 22 immagini chiamate Trionfi. Questo gioco rimanda ai Triumphi di Francesco Petrarca, in cui il poeta trecentesco descrive le sei principali forze che governano gli uomini attribuendo loro un valore gerarchico. La numerologia romanica vedeva nel Sei "il sovrumano, la potenza" poichè il Sei corrispondeva ai giorni della creazione biblica. Per primo viene l’Amore (Istinto), che corrisponde ad una fase giovanile, vinto dalla Pudicizia (Castità, Ragione), fase successiva di matura pacatezza, a cui segue la Morte, che sta a significare la transitorietà delle cose terrene; essa viene vinta tuttavia dalla Fama, vittoriosa sulla morte nella memoria dei posteri, ma su di essa trionfa il Tempo il quale è sovrastato infine dal Trionfo dell’Eternità, che sottrae l’uomo dal flusso del divenire e lo pone nel regno dell’eterno.

Il numero delle carte di  Trionfi, la cui ideazione si deve al Principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia, sembra essere stato composto inizialmente da 8 allegorie, portate poi a 14 e 16 per stabilizzarsi infine su 22, numero che nel significato mistico cristiano rappresenta l’introduzione alla sapienza e agli insegnamenti divini impressi negli uomini. Tale percorso, che denuncia un progressivo adattamento di queste “carte da gioco” a dettami numerologici di carattere religioso, fu probabilmente adottato per evitare la condanna della Chiesa la quale ripetutamente si era scagliata contro i giochi di carte considerati d’azzardo. 

Riguardo il numero 22 così si esprime Origine, sommo Padre della Chiesa: "Nella disposizione numerale, i numeri singoli contengono certa quale forza e potere sulle cose e di tale potere e forza s'è valso il Creatore dell'universo, talora per la costituzione dell'universo stesso, talora a significare la natura delle cose singole cosi come esse ci appariscono. Ne segue allora che, in base alle Scritture, occorre osservare e derivare quegli aspetti che singolarmente appartengono ai numeri stessi. E in realtà occorre non ignorare che i libri stessi dell'Antico Testamento, come gli Ebrei li hanno trasmessi, sono Ventidue, e ad essi a uguale il numero degli elementi ebraici; e questo non senza motivo. Come infatti Ventidue lettere sembrano essere l'introduzione alla sapienza e alla dottrina impressa con queste figure negli uomini, cosi pure i Ventidue Libri della Scrittura costituiscono il fondamento e l'introduzione alla sapienza di Dio a alla conoscenza del mondo" (Select. in Ps l - PG 12, 1084). In altre parole, Origene "riferendosi ai 22 libri ispirati dalla Bibbia scorge nelle Ventidue lettere che compongono l'alfabeto ebraico, una introduzione alla sapienza e agli insegnamenti divini impressi negli uomini" (A. Quacquarelli, s.v. Numeri, in DPAC, pp.2447-2448).

La teologia medievale assegna all’universo un preciso ordine, formato da una scala simbolica che sale dalla terra al cielo: dall’alto di questa scala Dio, la Prima Causa, governa il mondo, senza tuttavia intervenirvi direttamente, ma operando ex gradibus, cioè attraverso una serie ininterrotta di intermediari in modo che la sua potenza divina si trasmette fino alle creature inferiori, fino all’umile mendicante. Letta invece dal basso verso l’alto, la scala insegna che l’uomo può elevarsi gradualmente nell’ordine spirituale inerpicandosi lungo le cime del bonum, del verum e del nobile e che la scienza e la virtù lo avvicinano a Dio. 

Dal primo ordine di Trionfi conosciuto, risalente all’inizio del Cinquecento, risulta evidente che si trattava di un gioco a sfondo etico. Il Giocoliere (Bagatto) raffigura l’uomo peccatore a cui sono state date guide temporali, l’Imperatrice e l’Imperatore e guide spirituali, il Papa e la Papessa (la Fede). Gli istinti umani devono essere mitigati dalle virtù: l’Amore dalla Temperanza e il desiderio di potere, ossia il Carro, dalla Forza (la cristiana virtù  “Fortitudo”). La Ruota della Fortuna insegna che ogni successo è effimero e che anche i potenti sono destinati a diventare polvere. L’Eremita, che segue la Ruota, rappresenta il tempo al quale ogni essere deve sottostare e la necessità per ciascun uomo di meditare sul valore reale dell’esistenza, mentre l’Appeso (il Traditore) denuncia il pericolo di cadere nella tentazione e nel peccato prima che la Morte sopraggiunga. 

Anche l’Aldilà è rappresentato secondo la tipica concezione medievale: l’Inferno e quindi il Diavolo, è posto sotto la crosta terrestre sopra la quale si estendono le sfere celesti. Come nel cosmo aristotelico, la sfera terrestre è circondata dal cerchio dei “fuochi celesti”, raffigurati da fulmini che colpiscono una Torre. Le sfere planetarie sono sintetizzate dai tre astri principali: Venere, la Stella per eccellenza, la Luna e il Sole. La sfera più alta è l’Empireo, sede degli Angeli che nel giorno del Giudizio saranno chiamati a risvegliare i morti dalle loro tombe. In quel giorno la Giustizia divina trionferà, pesando le anime e dividendo i buoni dai malvagi. Sopra tutti sta il Mondo, cioè “El Dio Padre”, come scriveva un anonimo monaco che commentò i Tarocchi all’inizio del Cinquecento. Lo stesso religioso pone il Folle dopo il Mondo, come ad indicare la sua estraneità ad ogni regola e insegnamento in quanto, difettandogli la ragione, non era in grado di comprendere le verità rivelate. 

Il pensiero della Scolastica che mirava ad avvalorare le verità di fede attraverso l’uso della ragione, accumunò nella categoria dei folli tutti coloro che non credevano in Dio. Nei Tarocchi la presenza del Folle acquista pertanto un ulteriore e profondo significato: in quanto possessore di ragione ma non credente, doveva divenire, attraverso gli insegnamenti espressi dalla Scala Mistica, "Folle di Dio" come lo divenne il santo più popolare, cioè Francesco, che fu chiamato “Lo Sancto Jullare e il Sancto Folle di Dio” ("Non fu mai più bel sollazzo, / Più giocondo, nè maggiore, / Che, per zelo e per amore, / Di Iesù divenir pazzo", canzone a ballo di Girolamo Benivieni, 1453-1542).

Nel corso del Quattrocento il gioco dei tarocchi era chiamato Ludus Triumphorum. Solo agli inizi del Cinquecento apparve la parola Tarocco, probabilmente attribuita a queste carte nel momento in cui il loro contenuto etico venne dimenticato a scapito del solo aspetto ludico, anche se qualche buon giurista asseriva di scorgere in esse “un non so che di virtuoso”.

Il primo documento conosciuto in cui appare il termine Tarochi in riferimento al gioco, è un registro di conti della corte estense relativo al secondo semestre 1505, in una annotazione datata al 30 giugno. Ricompare poi una seconda volta nello stesso registro al 26 dicembre.

Nella Frotula de le dòne (Frottola delle donne), una poesia da noi individuata di Giovan Giorgio Alione, datata al 1494, anche se non riferita al gioco di carte, viene citata la parola Taroch con significato di "matto, sciocco" :

Marì ne san dè au recioch
Secundum el Melchisedech
Lour fan hic. Preve hic et hec
Ma i frà, hic et hec et hoc
Ancôr gli è – d'i taroch
Chi dan zù da Ferragù 

Il verso "Ancôr gli è – d'i taroch" deve essere quì tradotto, secondo la critica filologica,  con "ancora ci sono degli sciocchi, dei matti" (probabilmente in riferimento ai mariti traditi).

Ross Caldwell ha fatto notare che il termine tarochus era infatti già in uso nel sec. XV, come da lui individuato nella Maccheronea (dedicata a Gaspare Visconti, † 1499), del poeta Bassano Mantovano, in cui il termine viene utilizzato con il significato di "matto, idiota, imbecille".

Erat mecum mea socrus unde putana
Quod foret una sibi pensebat ille tarochus
Et cito ni solvam mihi menazare comenzat.

(Mia suocera era con me, e questo idiota pensava di poterle portare via un po' di denaro, così cominciò a minacciarmi).

Dopo anni di ricerche siamo dunque in grado di affermare come la parola Tarocco sia da farsi derivare dalla carta del Folle. In un nostro saggio abbiamo ulteriormente evidenziato come il vento scirocco, il vento creduto indurre alla pazzia, venisse chiamato nel Rinascimento Vento Theroco e, in altro saggio, come il termine Tharocus debba essere collegato anche a Bacco, in riferimento alla follia che caratterizzava i riti orgiastici svolti in suo onore), un'attribuzione ispirata quindi da una carta del mazzo, fatto non insolito in quanto con il termine di Ganellino o Gallerino - cioè il Bagatto - veniva chiamato il Tarocco Toscano in Liguria e in Sicilia. Ma non occorre risalire unicamente a questo significato: in base alle varianti storiche di 'tarrocco' o 'tarroco', è necessario anche valutare  il termine sotto l'aspetto ludico attribuendogli in questo caso il significato di attacco con carte di presa più forti rispetto a quelle calate dagli avversari, in quanto con le espressione 'ti arrocco, t'arrocco, ti arroco' si intendeva richiamare gli avversari sul fatto che si erano messe in campo carte di vittoria che costringevano gli stessi a mettersi sulla difensiva . Si tratta quindi di un termine connotato dal caratteristiche polisemiche, cioè con più significati, come abitualmente troviamo per altre parole del periodo rinascimentale. 


Le allegorie presenti nelle carte dei Trionfi appartengono a un repertorio figurativo consueto nel nostro Occidente medievale, riscontrabile negli affreschi delle cattedrali, in quelli dei palazzi pubblici e nei trattati enciclopedici e astrologici del tempo. In pratica, le figure presenti nelle carte dei Trionfi si configurano come una vera e propria Biblia Pauperum, cioè una “Bibbia dei Poveri”. Attraverso l’utilizzo ludico delle carte, il popolo traeva direttamente da queste una conoscenza della mistica cristiana e dei suoi contenuti, concetti che venivano continuamente rimandati alla mente, assecondando con ciò un metodo legato all’Ars Memoriae del tempo. 

È stato possibile decifrare il contenuto delle singole figure presenti nelle carte dei Trionfi riferendole al contesto culturale delle corti principesche dell’Italia padana, con il loro gusto per le immagini moralistiche tratte sia dalla tradizione religiosa, soprattutto da quella biblica, sia dalla mitologia classica. Infatti per tutto il Medioevo e il Rinascimento, gli “Antichi Dei” continuarono ad essere presenti nella cultura cristiana, anche se con un carattere diverso da quello della divinità. Da un lato erano ritenuti eroi civilizzatori che insegnarono agli uomini molte arti, come Minerva, considerata la prima tessitrice, o Apollo, il dio medico. Un’altra concezione li interpretava come allegorie di vizi e virtù, ed è con questa veste che vengono raffigurati in alcune carte dei Trionfi. Ad esempio, la virtù cristiana della “Fortitudo”, viene rappresentata nella carta della Forza dal mitico Ercole che sconfigge il leone Nemeo, simbolo degli istinti animali; l’Amore, nel suo significato di passionalità istintuale, è raffigurato da Cupido intento a lanciare i suoi strali su incauti amanti; il Sole (nella sua accezione di “Veritas”) è impersonato da Apollo, che illumina la terra col suo disco. 

Molte figure dei Tarocchi riprendono chiaramente l’iconografia cristiana come, ad esempio, l’immagine del Mondo, rappresentato nelle carte quattrocentesche dalla Gerusalemme Celeste posta all’interno di un tondo sorretto da angeli e sovrastato a volte dalla Gloria. Rimanda all’immagine della Fede la carta della Papessa, simile a quella dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. E gli esempi potrebbero continuare. 

Ulteriori fonti di ispirazione furono i trattati astrologici del tempo. La figura del Bagatto o Giocoliere appare tra i “Figli della Luna”, cioè tra i mestieri sottoposti all’influenza dell’astro. La figura del “Misero”, o Folle, si trova tra i “Figli di Saturno”; quella degli Amanti tra i “Figli di Venere”; il Papa tra i “Figli di Giove” e l’Imperatore tra i “Figli del Sole”. Inoltre, figure di astrologi compaiono in diversi mazzi dei Trionfi a rappresentare la Luna o le Stelle. 

Vi sono infine immagini tratte dalla vita quotidiana. Un esempio di notevole interesse si riscontra dalla figura dell’Appeso, che si riferisce alla pena che veniva comminata ai traditori nel periodo medievale. Nel affresco dell’Inferno del 1410, opera di Giovanni da Modena (Cappella Bolognini, S. Petronio, Bologna), un’identica figura è servita quale rappresentazione della pena di contrappasso per l’idolatria, considerata la più grande forma di tradimento in quanto rivolta a disconoscere il proprio Creatore.

Nell’antichità Hermes, associato al dio egizio Thoth, fu considerato l’inventore della scrittura, delle scienze e autore di numerosi trattati magico-religiosi. Durante l’Impero Romano i testi ermetici vennero reinterpretati presso la scuola di Alessandria d’Egitto alla luce della filosofia greca, in particolare di Pitagora e Platone, mentre i Padri della Chiesa considerarono Hermes con grande rispetto in virtù delle analogie di certi brani dei Vangeli con alcuni scritti a lui attribuiti. 

Nel 1460 venne portato a Cosimo de’ Medici, Signore di Firenze, un manoscritto ritrovato in Macedonia e attribuito erroneamente a Hermes Trismegistus. Quest’opera, tradotta nel 1463 dal sacerdote e filosofo Marsilio Ficino, venne seguita dalle traduzioni di testi platonici che rivelavano un affascinante concezione del Cosmo. Secondo questa filosofia l’Universo converge verso l’Unità Divina ordinata secondo gradi di perfezione rappresentati dai cerchi concentrici delle sfere planetarie e celesti. Nell’uomo esiste un principio divino, l’Anima, che già durante l’esistenza terrena può condurlo alla contemplazione del Bene Supremo attraverso l’esercizio delle virtù e tramite la meditazione delle diverse entità angeliche. 

Un altro importante aspetto filosofico implicava l’idea che l’universo si riflettesse in ogni cosa esistente. L’uomo era concepito come un “piccolo mondo”, un Microcosmo identico per struttura e contenuto al Macrocosmo. I filosofi del Rinascimento, a partire da Ficino, immaginarono elaborati sistemi di corrispondenze tra gli astri del firmamento e le diverse parti dell’organismo umano. Su questi presupposti avvenne la rivalutazione della magia, dell’astrologia e dell’alchimia, arte ermetica per eccellenza. Tali scienze avrebbero aiutato l’uomo a capire i segreti legami che mantengono unito l’universo e influiscono sul comportamento umano. Così le antiche divinità astrali, Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio, il Sole e la Luna, tornarono a rivestire il ruolo di spiriti potenti e temibili a cui si potevano rivolgere preghiere e interrogazioni per conoscere la sorte degli uomini. Attraverso la costruzione di amuleti, lo svolgimento di particolari riti e la realizzazione di specifiche operazioni, l’uomo avrebbe potuto difendersi dalla potenza degli astri, celata anche nelle pietre e nei metalli, ottenendo la facoltà di catturarla e di servirsene per un’elevazione spirituale. 

Alla filosofia ermetica si ispirò il poeta Ludovico Lazzarelli (1450 - 1500), autore di un’opera illustrata con figure tratte dai cosiddetti Tarocchi del Mantegna, il De gentilium imaginibus deorum e alle operazioni alchemiche fece riferimento anche l’anonimo autore dei Tarocchi Sola Busca (ca. 1490). 

All’inizio del Cinquecento alcune immagini dei tarocchi, come la Luna e il Sole, vennero modificate sulla base dei trattati iconologici del tempo, e, mentre la figura della Torre si arricchì di contenuti biblici (La distruzione della casa di Giobbe), altre furono rese aderenti all’iconografia ermetica. Nella carte delle Stelle, infatti, è rappresentata l’origine astrale dell’anima secondo la concezione platonica, mentre nella carta del Mondo è raffigurata quell’Anima Mundi che, secondo Ficino, rappresenterebbe l’elemento mediatore tra l’uomo e Dio.

Verso il primo decennio del Quattrocento, il Principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia ideò a Bologna, dove risiedeva, i prodromi di questo gioco di carte che iniziò a diffondersi in Italia verso gli anni '40 dello stesso secolo, per diffondersi rapidamente nel Cinquecento  in tutta Europa. I tarocchi erano usati originariamente in giochi con regole vicine a quelle degli scacchi e proprio per questo suo carattere “ingegnoso”, il Ludus Triumphorum venne esplicitamente omesso nelle ordinanze contro i giochi d’azzardo emanate nel corso del Quattrocento. 

Grazie ai numerosi documenti rinascimentali sappiamo che nei salotti aristocratici il gioco dei Trionfi era al centro di raffinati divertimenti che consistevano, ad esempio, nell’inventare sonetti cortesi o nel rispondere a domande di vario tipo attinenti alle carte estratte dal mazzo. Un’altra usanza molto diffusa, sopravissuta fino all’Ottocento, consisteva nell’appropriare le figure dei Tarocchi a persone famose scrivendo su di loro sonetti, o semplicemente motti, a volte elogiativi, altre volte burleschi o decisamente satirici. Nel Settecento si sviluppò una ricca produzione di tarocchi con scene fantastiche, ispirate al mondo animale, alla storia, alla mitologia, ai costumi dei vari popoli. 

Ma poiché era gioco e d’azzardo, con tutte le conseguenze che ciò comportava, fin dal Cinquecento la Chiesa intervenne per reprimerlo. Dopo appena cento anni dalla loro creazione, il significato cristiano della Scala Mistica sul quale era strutturato il loro ordine, venne dimenticato. Infatti già sull’inizio del XVI secolo un anonimo monaco predicatore si accaniva contro i Trionfi definendoli “opus diaboli” e giustificava la sua affermazione asserendo che l’inventore di questo gioco, per trascinare gli uomini al vizio, aveva deliberatamente usato figure solenni quali il Papa, l’Imperatore, le virtù cristiane e persino Dio. Il buon religioso scrive inoltre che “Se il giocatore pensasse al significato delle carte, se ne starebbe alla larga. Infatti nelle carte c’è una quadruplice differenza. Lì infatti ci sono i denari che corrono via dalle mani dei giocatori. E questo significa l’instabilità del denaro nel giocatore, perché devi pensare che quando entri nel gioco i tuoi denari andranno alla malora perché perderai. Ci sono anche le coppe a mostrare a qual punto di povertà arriverà il giocatore, perché privo di bicchiere si servirà per bere di una coppa. Ci sono anche i bastoni. Il legno è secco per suggerire l’aridità della grazia divina nel giocatore. Ci sono poi da ultimo le spade a significare la brevità della vita del giocatore poiché per lo più uccidono ecc. Infatti nessun genere di peccatori è così disperato come quello dei giocatori. Quando perde e non può avere il punto desiderato, la carta o il trionfo, percuote la croce nel denaro, bestemmiando Dio o i santi, e getta via con rabbia i dadi dicendo a se stesso ‘Che me sia moza la mano ecc.’ Molto facilmente si arrabbia con il compagno che lo deride e continuamente sorgono delle offese e ci si picchia ecc..”. L’anonimo predicatore termina poi con la frase canonica “O giocatore scuotiti in tempo perché finirai male”. 

Nonostante la condanna della Chiesa i tarocchi continuarono a diffondersi, tanto che a partire dal secolo XVIII l’Italia importò tarocchi dalla Francia, in particolare quelli della variante “Marsigliese” alla quale si ispirarono i fabbricanti piemontesi e lombardi per rinverdire la loro produzione. Poi, incalzati da giochi più moderni, i tarocchi sparirono lentamente. Oggi sono diffusi in pochi centri della Sicilia, dell’Emilia, della Lombardia, del Piemonte e della Francia sud-orientale. Nel frattempo, tuttavia, le immagini dei tarocchi erano state oggetto di manipolazioni e interpretazioni esoteriche che le portarono ad essere considerate “icone magiche”.

La nascita dei tarocchi come strumento magico avvenne alla fine del Settecento, in pieno illuminismo, ad opera di un “archeologo” a quell’epoca molto famoso, Antoine Court de Gébelin, affiliato alla Massoneria francese: “Se ci apprestassimo ad annunciare che, ai giorni nostri, sussiste un’Opera che contiene la più pura dottrina degli Egizi sfuggita alle fiamme delle loro biblioteche chi non sarebbe impaziente di conoscere un Libro tanto prezioso e straordinario. Questo libro esiste e le sue pagine sono le figure dei tarocchi”. 

Per giustificare le sue affermazioni Court de Gébelin spiegò che la parola Tarocco sarebbe derivata dall’egizio Ta-Rosch = Scienza di Mercurio (Ermete per i Greci, Thoth per gli Egizi), indicandone le numerose proprietà magiche. Queste teorie vennero riprese da un altro massone, Etteilla, pseudonimo di Jean Francois Alliette: “Il Tarocco è un antico libro egiziano le cui pagine contengono il segreto di una medicina universale, della creazione del mondo e del divenire della razza umana. Esso venne ideato nel 2170 a.C. durante un convegno di 17 maghi presieduto da Ermete Trismegisto. Poi fu inciso su lamine d’oro che furono poste attorno al fuoco centrale del Tempio di Menfi. Infine, dopo varie peripezie, venne riprodotto da vili incisori medievali in maniera tanto inesatta da snaturare completamente il senso”. 

Etteilla restituì ai tarocchi quella che lui riteneva la forma primitiva, ne rimodellò l’iconografia e lo battezzò Libro di Thot. L’eredità del neoplatonismo e dell’ermetismo rinascimentale risulta evidente nelle manipolazioni operate da Etteilla. Infatti, nei primi otto Trionfi riprodusse le frasi della Creazione; nei quattro successivi evidenziò le virtù che conducono le anime degli uomini al cospetto di Dio; mentre negli ultimi dieci trionfi rappresentò i condizionamenti negativi a cui sono sottoposti gli esseri umani. Le 56 carte numerali furono interpretate come le sentenze divinatorie per i mortali. 

Grazie a queste rivelazioni esplose la moda della cartomanzia, ma molti anni dopo l’aspetto mistico del Libro di Thot venne rivalutato da Eliphas Levi. Egli denunciò gli errori di Etteilla affermando che i 22 Trionfi corrispondevano alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico. Ne spiegò il rapporto con le operazioni magiche, col simbolismo della Massoneria e soprattutto con i 22 sentieri dell’Albero della Qabbalah, che riflettevano l’identica struttura dell’uomo e dell’Universo. Percorrendo i 22 Canali della “Sapienza Suprema” l’anima dell’uomo poteva giungere alla contemplazione della “Luce Divina”. 

Le teorie di Levi furono riprese da numerose fratellanze occultistiche. Ognuna di esse realizzò un nuovo mazzo di tarocchi conforme alla propria filosofia. Per alcune l’obiettivo degli iniziati doveva tendere alla realizzazione di un grande “Tempio Umanitario” finalizzato alla creazione del “Regno dello Spirito Santo” fondato sull’ esoterismo comune a tutti i culti. Per altre i tarocchi avrebbero rappresentato le tappe di un percorso individuale di elevazione mistica o anche di esaltazione psichica grazie al conseguimento di grandi poteri magici.

L'utilizzo delle carte per uso magico fu pratica diffusa nei secc. XVI e XVII tanto che i tribunali inquisitori intervennero a più riprese per condannarla. A Venezia nel 1586 l' Inquisizione prese provvedimenti in seguito all'uso di carte di tarocchi in un rituale svolto su un altare e così a Toledo nel 1615.

Un rapporto indiretto delle carte con  la divinazione si trova in alcuni libri di sorte italiani e tedeschi dove le carte da gioco servivano esclusivamente come strumento per ottenere punteggi e combinazione di numeri e figure, rimanendo del tutto estranea ad esse qualsiasi valenza cartomantica e simbolica. Ne è un esempio l'opera Le Ingegnose Sorti di Marcolino da Forlì apparsa a Venezia nel 1540.

Da diverse testimonianze scritte del tempo siamo a conoscenza che la cartomanzia  era alquanto diffusa. Merlin Cocai (pseudonimo di Teofilo Folengo) nella sua opera, il Chaos del Tri per uno del 1527, scrive in forma letteraria una sorta di lettura divinatoria con i tarocchi simile a quella usata attualmente, mentre dalla Spagna del 1538 (come ha evidenziato lo storico dei tarocchi Ross. G. Caldwell) ci giunge un documento redatto da  un certo Pedro Ciruelo in cui egli, accanto ai dadi e ai fogli scritti, inserisce la lettura delle carte (in questo caso fatta con i naipes, cioè con le carte numerali e di corte) quali strumento per divinare (Adivina por las suertes). 

Sappiamo che nella Spagna del Seicento l'uso della cartomanzia era alquanto diffuso, ma è alla Bologna del Settecento che appartiene il primo documento conosciuto in cui troviamo l’elenco delle carte con i relativi significati divinatori. Tuttavia fu soltanto a partire dal secolo XIX che i cartomanti si moltiplicarono a vista d’occhio, soprattutto in Francia, grazie alle stupefacenti rivelazioni di Court de Gebelin, di Etteilla e delle fratellanze occultistiche. Si ammette comunemente infatti che tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento i tempi fossero propizi a profeti e indovini, e non solo in Francia, grazie all’incertezza della situazione politica e all’accentuarsi di una grave crisi economica.

Tra i tanti indovini di quell’epoca viene spesso ricordata Madamoiselle Le Normand, che seppe costruirsi una fortuna curando abilmente la propria immagine pubblica.  Nei suoi libri afferma di essere stata la confidente dell'Imperatrice Giuseppina e di aver letto regolarmente le carte a personaggi della statura di Marat, Danton, Robespiere, Madame de Stael e Talleyrand. La “Sybille des Salons”, come veniva chiamata la Le Normand, fu seguita da una folta schiera di indovine che cercarono di trarre profitto dalla loro arte dichiarandosi allieve e discepole o eredi della più illustre sibilla. 

Altre idearono nuovi mazzi cartomantici basandosi sui Tarocchi Egiziani di Etteilla oppure sulle carte da gioco francesi. Intorno al 1850 la divinazione con i tarocchi e le carte da gioco in generale era ormai divenuta una tecnica divinatoria estremamente popolare in tutta Europa. In quegli stessi anni, la rinascita delle filosofie esoteriche diede nuovo vigore alle arti magiche in generale e alla cartomanzia in particolare.

Nel corso dell’Ottocento vennero stampati, soprattutto in Francia, Italia e Germania, almeno un centinaio di originalissimi mazzi da divinazione che, nella maggioranza dei casi, non avevano niente a che vedere con i tarocchi, ma piuttosto con i libri di interpretazione dei sogni o con la cosiddetta Cabala del Lotto.

Si può dire che da allora questa moda non abbia conosciuto crisi, fatta eccezione per i periodi bellici. A torto, secondo noi, i sociologi si interrogano sulle cause di quello che viene considerato oggi un ritorno all’irrazionalità, ma che invece è più giusto vedere come una presenza che testimonia il bisogno costante, nella storia occidentale, di certezze “superiori”. Al di là dell’aspetto divinatorio occorre poi considerare l’aspetto artistico. Nella creazione dei mazzi da divinazione si sono spesso cimentati estrosi grafici e pittori le cui opere testimoniano non solo il gusto personale, ma anche la sensibilità artistica e la tendenza estetica dell’epoca alla quale sono appartenuti.

I tarocchi sono formati da 78 carte, dette anche "lame" a partire dall'esoterista ottocentesco Paul Christian (pseudonimo di Jean-Baptiste Pitois), seguace di Court de Gébelin ed Eliphas Levi. Il gruppo degli "Arcani maggiori" è costituito da 22 carte illustrate con figure umane, animali e mitologiche, anticamente chiamate "Trionfi". Il gruppo degli "Arcani minori" consta di 56 carte suddivise nelle 4 serie di semi della tradizione italiana: denari, coppe, spade e bastoni (anche se, in alcuni casi, i nomi dei semi si adattano alla tradizione locale). Ogni serie, costituita da 14 carte, include 4 figure, definite anche "onori" o "carte di Corte" (Fante, Cavaliere, Regina e Re), e 10 carte numerali.

I tarocchi furono creati certamente come gioco di carte didattico; in particolare la sequenza dei Trionfi fu pensata per l'insegnamento della dottrina cattolica; in seguito sono stati usati per diversi giochi di carte a scopo ludico. A partire dal XVIII secolo, inizialmente in Francia con il celebre Etteilla (pseudonimo di Jean-François Alliette), i tarocchi sono stati usati a scopo divinatorio e sono diventati uno strumento molto utilizzato nella cartomanzia.

Secondo alcune ipotesi storiografiche, sino al 1500 le carte furono soprannominate Ludus triumphorum. Tuttavia, l'allusione ai Trionfi è da sempre controversa. Sono state ipotizzate alcune possibilità:

un rapporto diretto con un'opera letteraria omonima, Triumphi, di Francesco Petrarca, le cui sei allegorie sono state spesso rappresentate in modo simile alle icone trionfali dei tarocchi: Trionfo dell'Amore = Amanti (Arcano VI), Trionfo della Castità = Temperanza (Arcano XIV), Trionfo della Morte = Morte (Arcano XIII), Trionfo della Fama = Giudizio (Arcano XX), Trionfo del Tempo = Eremita (Arcano IX), Trionfo dell'Eternità = Mondo (Arcano XXI);
un rapporto con i carri trionfali che nel Medioevo accompagnavano le processioni carnevalesche.
A partire dal 1600 circa, ovvero circa un secolo dopo la creazione del mazzo più antico oggi conosciuto (i Tarocchi milanesi classificati come Visconti-Sforza), in Italia fu utilizzato il termine tarocco (o tarocchi) la cui etimologia è tuttora oscura.

Tuttavia, secondo alcune correnti d'indagine, la definizione corretta non sarebbe da cercare nel termine tarocco (o tarocchi) ma nel lemma Tarot (sostantivo singolare), peraltro usato a livello linguistico in maniera internazionale. Secondo questo approccio sarebbe possibile cogliere il significato più profondo di questa parola solo accettando la necessità di un opportuno sistema di decodifica. Per esempio, gli esperti hanno rilevato che analizzando Tarot si ottiene Rota, che in latino significa Ruota (cioè la Ruota astrologica al centro della via dei Tarocchi che, per sua natura, è caratterizzata dalla circolarità, parimenti espressa dalla presenza delle due T all'inizio ed alla fine della parola stessa).

Oppure hanno evidenziato che in Tarot è contenuta la voce Tora, testo sacro ebraico; o che Tar-ro, in egizio, vuole dire “Via Regale,” e così via.

Risale ad un periodo anteriore al 1447 la creazione di un mazzo per il duca milanese Filippo Maria Visconti (morto nel 1447). Questo gioco è oggi il più antico tra quelli conosciuti ed è conservato alla Yale University Library di New Haven (Connecticut). Un altro mazzo praticamente identico a questo, ma più frammentario, è conservato alla Pinacoteca di Brera a Milano. In entrambi i casi tutte le carte sono miniate col fondo in foglia d'oro o d'argento e lavori di punzonatura. Il loro prezzo non è pervenuto ma era certamente molto alto in quanto simili opere erano riservate solo alle corti signorili.

Questi Tarocchi furono quasi certamente dipinti dal pittore di corte Bonifacio Bembo, come si evince dalle affinità stilistiche con altre opere dello stesso artista. Ulteriori frammenti di mazzi sono di origine ferrarese: per esempio i Tarocchi detti di Carlo VI conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi; quelli detti "di Alessandro Sforza" conservati al Museo di Castel Ursino a Catania; quelli di Ercole I d'Este conservati alla Yale University Library. Il fatto che quasi tutti questi giochi (ed altri più recenti) siano giunti incompleti è evidentemente legato alla fragilità del supporto cartaceo ed alle citate persecuzioni che subirono le carte da gioco (spesso soggette a roghi oppure sciolte nel macero per ricavarne cartapesta da riutilizzare).

Non prima del 1450 fu realizzato il mazzo più completo a noi pervenuto, cioè i Tarocchi di Francesco Sforza, legato ai Visconti nel governo del ducato di Milano. Lo stemma ed il motto Visconteo "à bon droyt" compaiono assieme ai simboli araldici della famiglia (un sole raggiante; tre anelli con diamanti intrecciati; il biscione). Il mazzo, conservato in tre gruppi separati, si trova presso l'Accademia Carrara di Bergamo (26 carte), la Pierpont Morgan Library di New York (35 lame) e la famiglia Colleoni di Bergamo (proprietaria di 13). Questi mazzi e le loro varianti si diffusero nell'Italia settentrionale con diverse interpretazioni illustratrive: per esempio, nella versione ferrarese la Luna è rappresentata da uno o due astrologi, mentre in quella viscontea una donna tiene una mezza luna nella mano destra; nei Tarocchi ferraresi il Matto è un buffone tormentato da alcuni bambini mentre in quelli lombardi è un mendicante gozzuto (evidente allusione al gozzo, cioè la tipica malattia dei montanari della zona prealpina). A volte i mazzi erano realizzati in occasione di matrimoni signorili ed in tal caso gli emblemi dei due sposi erano dipinti sulla carta dell'Innamorato.

Le tecniche che nel corso dei secoli si sono susseguite per la creazione dei Tarocchi e per le carte da gioco sono state innumerevoli. È presumibile che anticamente fossero vergati su pergamena o incisi su tavolette di legno; nei secoli successivi, si passò dall'uso degli stampi in legno di pero (o affini per morbidezza e robustezza) come matrice per i tratti, congiuntamente agli stampini (i cosiddetti pochoirs o stencil) per l'applicazione dei colori. Verso la metà del XV secolo, le tecniche di stampa furono perfezionate prima con la xilografia, poi con la calcografia e, alla fine del secolo, con l'invenzione dei caratteri mobili.

Il progresso della stampa fece nascere le prime fabbriche di mazzi di tarocchi, che erano stampati su foglio unico, numerati, rozzamente colorati e tagliati. Il prezzo era superiore alle carte comuni, dato il maggior numero, come ci informa un registro fiscale bolognese del 1477. Tuttavia la stampa introdusse sul mercato mazzi a basso costo che favorirono la diffusione del gioco. Nell'Ottocento, in concomitanza con la rivoluzione industriale, si passò all'uso delle macchine di stampa quadricromiche (che modificarono notevolmente i colori più antichi di certi cartai) ed oggigiorno i Tarocchi sono disegnati e riprodotti soprattutto mediante tecnologia informatica (penne grafiche e digitalizzazione).

Uno dei modelli di ricerca più conosciuti dal grande pubblico è appunto quello che tratta il tema dal punto di vista storico, concentrandosi cioè sui documenti, di qualunque natura siano, che li riguardano. Nel complesso, questo tipo di approccio sostiene che i Tarocchi, creati in Italia nella metà del Quattrocento circa, avrebbero avuto una primitiva funzione ludico-artistica, cioè sarebbero stati un passatempo ricreativo analogo ai giochi di carte da cui, probabilmente, deriverebbero.

Il credito di cui gode questa teoria da un lato deriva dal fatto che il mazzo più antico oggi conosciuto è quello quattrocentesco dei Visconti, dall'altro dal fatto che i ricercatori, più o meno consapevolmente, sembrano essersi tutti accontentati di seguire pedissequamente una linea già definita. Tuttavia, se è innegabile che i Tarocchi, nel corso delle epoche, abbiano anche svolto questa funzione, è indispensabile sottolineare che l'esclusività di questo ruolo non è mai stata acclarata in via conclusiva.

Rispetto al gioco dei Tarocchi, purtroppo manca una doviziosa documentazione scritta prima del XVI secolo che ci ragguagli sia sull'uso che sulla disposizione delle carte, e non ci sono pervenuti manuali di un periodo antecedente il XVIII secolo. Inoltre, una ricostruzione delle regole è praticamente impossibile sia perché queste variavano da città a città sia perché i tipi di giochi erano molto numerosi e caratterizzati da strategie particolarmente complesse. Ciononostante, conosciamo alcune indicazioni di base. Per esempio, i partecipanti potevano essere da due a sette; era permesso lanciare segnali ai giocatori e scommettere sulla posta; ciascuno poteva tenere in mano fino venti carte; si trattava di un gioco di presa, in cui si calava una volta a testa e si era obbligati a rispondere al seme o alla carta in modo ciclico. Le briscole, ossia i Trionfi (gli Arcani Maggiori), avevano maggior valore delle carte numerali, compreso l'Asso (privo di una posizione di privilegio).

La numerazione dei Trionfi permetteva a quello più alto di vincere su quello più basso. Il Matto non entrava nel gioco (valeva solo come punteggio) ed alla fine della partita vinceva chi aveva totalizzato il massimo dei punti. Come già anticipato, a causa dello sfrenato uso che dei giochi di carte si fece, sia presso i ceti popolari che quelli aristocratici o religiosi, cominciarono ad apparire divieti ed invettive tra cui, nel 1480, il 'Sermones de ludo cum aliis' dove un anonimo predicatore domenicano si scagliava contro l'uso dei Tarocchi, ed in particolare dei Trionfi. Tale documento riveste un interesse peculiare poiché riporta l'elenco delle figure con i nomi e la disposizione attualmente noti, seppur accompagnati da note di profondo sdegno per il fatto che Angeli, Virtù cardinali, Imperatore e Papa e perfino Dio Padre fossero raffigurati in un gioco profano. Il predicatore terminava condannando l'inventore del mazzo, cioè il Diavolo, colpevole di trascinare l'uomo nel vizio. La pratica di condannare il gioco di carte era così diffusa che persino San Bernardino da Siena le stigmatizzò in un famoso sermone tenuto a Bologna nel 1423, dopo il quale fu acceso un rogo per bruciare mazzi di carte, dadi ed altre vanità.

Poiché nei secoli successivi i vari governi tentarono di reprimere o almeno limitare il gioco senza risultati convincenti, si giunse al compromesso di tassare le carte e creare disposizioni di fabbricazione e commercio in modo da scoraggiare evasioni, contraffazioni e contrabbando. Il bollo, ora non più in uso, era applicato solitamente sull'Asso di Denari.

L'uso dei tarocchi come carte da gioco si trova ancor oggi in molte aree italiane e francesi. Il tarocco siciliano è ancora giocato in quattro paesi della Sicilia:Barcellona Pozzo di Gotto, Calatafimi, Tortorici e Mineo. A Bologna si usa il tarocchino bolognese, le cui regole originali sono conservate dall'Accademia del tarocchino bolognese. A Pinerolo si usa il tarocco ligure-piemontese. In Francia si usa il Tarot nouveau; qui le regole sono fissate dalla Fédération Française de Tarot.

Oltre a questo tipo di passatempo, i Tarocchi furono utilizzati come giochi di abilità verbale. Nelle lunghe serate a corte, infatti, non di rado si utilizzavano le figure per comporre frasi e motti che dovevano ispirarsi alle carte estratte ed i 22 Trionfi potevano anche essere abbinati (o appropriati, come si diceva) a persone e gruppi, specialmente gentildonne oppure note cortigiane. Molti di questi sonetti sono giunti fino a noi: poesiole comiche, satiriche, mordaci, scritte solitamente in ambiente cinquecentesco.

Probabilmente, in questo ambito colto vanno a collocarsi due mazzi: quello cosiddetto del Mantegna ed il Tarocco Sola-Busca, realizzato con la tecnica dell'acquaforte tra il XIV e il XV secolo. In quest'ultimo le 22 carte dei Trionfi raffigurano guerrieri dell'antichità classica e biblica, mentre le carte numerali rappresentano scene della vita quotidiana e, in parte, operazioni di alchimia, come ha dimostrato nel 1995 la studiosa Sofia di Vincenzo.

Anche Pietro Aretino si occupò di Tarocchi nella sua opera Le carte parlanti che ebbe un discreto successo e godette di varie ristampe.

Negli ultimi secoli si è sviluppato un secondo modo di operare nell'indagine conoscitiva dei Tarocchi definibile un modello esoterico ed occulto. Già dalla fine del Settecento, gli esponenti di questa corrente di pensiero nel complesso, pur con diverse interpretazioni, sostengono che queste immagini sono un Libro di Saggezza proveniente dai tempi più remoti e ne fanno risalire la nascita all'antico Egitto.

Scorrendo in rapidissima e non esaustiva rassegna i diversi autori, troviamo che una delle prime dichiarazioni in tal senso fu quella del pastore e studioso francese Antoine Court de Gébelin che nel 1781 ricopriva da anni la carica di censore reale sotto Luigi XV.

De Gébelin, anche presidente del Musée, rinomata società letteraria parigina del tempo, era una figura di spicco di certi ambienti francesi, amico degli enciclopedisti Diderot e d'Alembert, degli scienziati Franklin e Lalande, dei teorici della rivoluzione Danton e Camille Desmoulins e dell'eroe dell'indipendenza statunitense La Fayette, iniziati presso la loggia massonica Le Nove Sorelle della quale fu Maestro Venerabile per due anni. Per queste ragioni, diversamente da quanto accade oggi, ciò che de Gébelin scrisse sui Tarocchi, ai suoi tempi, di cui riportiamo una breve e significativa sintesi, fu giudicato di grande interesse senza essere deriso o schernito come una stravaganza:

« Se ci apprestassimo ad annunciare che, ai nostri giorni, sussiste un'Opera degli antichi Egizi sfuggita alle fiamme che hanno distrutto le loro superbe biblioteche, un'Opera che contiene la più pura dottrina degli egizi, chi non sarebbe impaziente di conoscere un Libro tanto prezioso, tanto straordinario! E se aggiungessimo che questo Libro è molto diffuso in gran parte dell'Europa, che da secoli va per le mani di tutti riguardato come un mazzo di strane figure prive di senso! Chi non penserebbe che scherziamo o che vogliamo approfittare della credulità degli ascoltatori? E tuttavia quanto sostengo è rigorosamente vero: questo Libro egizio, il solo rimasto delle loro superbe Biblioteche, esiste ai nostri giorni e, fatto stupefacente, esso è talmente comune che nessuno, prima di noi, ne aveva intuito l'illustre origine...questo libro è il gioco dei Tarocchi. »
Nel 1783 un indovino di moda, Aliette, sotto lo pseudonimo di Eteilla (1750-1810), creò un tarocco fantasioso che pose in relazione con l'astrologia e la cabala ebraica.

Alphonse Louis Constant, alias Eliphas Lévi (1816-1875), nonostante il grande intuito, disdegnò i Tarocchi di Marsiglia trovandoli "exoterici" e, in Dogma e Rituale dell'Alta Magia, propose una versione "esoterica" del Carro, della Ruota di Fortuna e del Diavolo. Inoltre, collegò i 22 Arcani Maggiori con l'alfabeto ebraico e la mistica ebraica e rinnegò i 56 Arcani Minori considerandoli di poco valore. Concentrandosi in via quasi esclusiva sui Maggiori, li aveva descritti grazie alla Cabala giungendo a considerarli quali chiavi universali per l'accesso a tutti gli antichi dogmi religiosi.

Gérard Encausse, sotto lo pseudonimo di Papus (1865-1917), seguendo le idee di Lévi, si permise di creare Tarocchi con i personaggi egizi illustranti una struttura cabalistica.

Arthur Edward Waite, per far combaciare i Tarocchi con le 22 vie dell'Albero della Vita che uniscono le 10 sephirot della medesima Tradizione cabalistica, scambiò il numero VIII della Giustizia con il numero XI della Forza; trasformò l'Innamorato in Gli Amanti; rivisitò a suo modo il Matto, spogliandolo di qualunque valenza esoterica, falsificando in questo modo il significato di tutti gli arcani.

Aleister Crowley, occultista appartenente all'Ordo Templi Orientis, cambiò anche i nomi, i disegni (e quindi il significato) e l'ordine delle carte: la Giustizia diventa il Giudizio; Temperanza diventa l'Arte; il Giudizio diventa Eone ed i Fanti ed i Cavalieri, eliminati, sono sostituiti da Principi e Principesse.

Oswald Wirth, occultista svizzero massone e membro della Società Teosofica, disegnò da sé i propri Tarocchi introducendo negli arcani non soltanto abiti medievali, sfingi egizie, numeri arabi e lettere ebraiche al posto dei numeri romani, simboli taoisti e la versione alchemica del Diavolo inventata da Éliphas Lévi, ma si ispirò anche alla grossolana versione di Court de Gébelin.

All'inizio del Novecento un noto autore, Paul Marteau, nel suo libro Le Tarot de Marseille riprodusse le sue carte. Questo evento, insieme a tutte le deviazioni di cui sono stati oggetto i Tarocchi in questi ultimi due secoli, ha rappresentato il "colpo di grazia" per i Tarocchi di Marsiglia. Infatti Marteau, commise due grandi errori: per un verso il suo mazzo è soltanto un'approssimazione dell'originale (i disegni sono, infatti, l'esatta riproduzione dei Tarocchi di Besançon pubblicati da Grimaud alla fine del XIX secolo, che a sua volta riproducono altri Tarocchi di Besançon pubblicati da Lequart e firmati "Arnault 1748." ); inoltre, modificò alcuni dettagli originali, forse per imprimere il proprio marchio e poter commercializzare il "prodotto" incassandone i diritti d'autore. Per di più, conservò i quattro colori di base imposti dai macchinari tipografici invece di rispettare gli antichi colori delle copie dipinte a mano.

In generale, da sempre il mondo accademico contemporaneo schernisce il modo di procedere esoterico valutandolo un'inammissibile sciocchezza od un colpo ad effetto privo di alcuna attendibilità: perfino chi non dubita della validità e dell'onestà intellettuale di certi esponenti si interroga se dar credito a conclusioni all'apparenza tanto azzardate. Si tratta di una questione fondamentale che, lungi dall'essere un caso isolato, non può essere liquidata sommariamente. In generale, infatti, qual è il punto debole del modus operandi occulto? Per comprenderlo, è necessario sapere che i principi adottati come presupposti di ricerca sono riassumibili in questo modo:

Gli esoteristi hanno ipotizzato che il mazzo d'origine, i Tarocchi di Visconti-Sforza, fossero imperfetti e per questo bisognosi di modifiche e miglioramenti. Quest'idea ha condotto al tentativo di “perfezionare” il loro simbolismo nel corso delle generazioni e ha portato all'incredibile numero di mazzi, dal presunto valore esoterico, ridisegnati negli ultimi secoli.
Non è mai stata data particolare rilevanza alla pura rappresentazione dei disegni; ciò che contava è sempre stato, principalmente, il loro valore come simboli. In sostanza, non aveva importanza come un oggetto fosse rappresentato, quanto che senso gli si potesse attribuire. In questo modo si è creata una notevole divergenza di pareri in merito al significato simbolico ed un contemporaneo disinteresse rispetto a come i tratti, i colori ed in generale le immagini dovessero essere o fossero state eseguite.
Il numero complessivo delle carte, 78 (22 Arcani Maggiori + 56 Arcani Minori) e la posizione dei soggetti raffigurati, in relazione alla sequenza numerica, di volta in volta non sono stati giudicati essenziali. Per questo, coloro che si sono dedicati ad una rielaborazione dei Tarocchi hanno creato mazzi con numeri di Arcani spesso diversi e con immagini collocate in maniera arbitraria e variegata.
Nel complesso si può riconoscere che tutti coloro che si sono cimentati nella spiegazione di un significato occulto dei Tarocchi si sono trovati nell'impossibilità di dimostrare in maniera oggettiva ed inconfutabile la veridicità delle loro affermazioni. È un'insidia legata alla connotazione soggettiva, interpretativa, in un certo senso personale, empirica ed interiore che questa prassi reca in sé. Questo si deve al fatto che il modello occulto ha da sempre tentato di dimostrare un contenuto sapienziale dei Tarocchi mediante la comparazione tra questi e gli antichi testi di molteplici tradizioni mistico-religiose (la Cabala, l'Alchimia, l'Astrologia, il Cristianesimo, il Buddhismo, l'Induismo, etc…), cercando di estrapolare il significato dei primi attraverso i secondi. Tuttavia, poiché in questo tipo di ricerca è sempre mancato un riferimento critico oggettivo, cioè un criterio di orientamento autonomo a garanzia della correttezza delle deduzioni ricavate, si è prodotta una ridda di esegesi che ha generato la più totale confusione.

In pratica, la visione di ogni occultista ha seguito le sue idee, la sua personalità, la sua formazione fino a prescindere, in un certo senso, dal contenuto oggettivo grafico presente nei Tarocchi stessi.

Gli esoteristi si difendono dalle critiche mosse contro questa modalità d'indagine ribattendo che chi non è iniziato a certi misteri e non possiede un intimo sapere esoterico non può comprendere il senso ermetico e profondo dei Tarocchi. Eppure, proprio l'esistenza di una sterminata e multiforme letteratura sembra una testimonianza più che convincente del fatto che questo modello di analisi non sia stato particolarmente efficace e in grado di offrire risposte definitive ed inequivocabili.

I tarocchi del Mantegna probabilmente inciso prima del 1467, questo mazzo di 50 carte fu erroneamente attribuito ad Andrea Mantegna, ma per lo stile è collegato all'ambito ferrarese. Questo tarocco non ha alcun riferimento iconografico alle carte Visconti-Sforza: mancano infatti totalmente i semi e in parte gli onori (ossia Fante, Cavallo, Regina, Re) nonché i classici Trionfi, a parte alcune allusioni al Matto e all'Imperatore.

Il mazzo, di cui si conoscono due serie soprannominate E ed S, è suddiviso in cinque gruppi di dieci carte. L'ordine numerico corrisponde a una precisa gerarchia d'importanza.

Ogni gruppo inizia con Le condizioni umane, prosegue poi con Apollo e le Muse, le Arti e le scienze , con particolare riferimento alle Arti Liberali , ossia a quel complesso di conoscenze teoriche considerato indispensabile all'uomo libero. Nel Medioevo cristiano erano considerate superiori alle Arti meccaniche tra cui figuravano quelle visive. Successivamente si passa agli Spiriti e alle Virtù, poi ai Pianeti e le Stelle dell'Universo, aderenti alla classica visione di Tolomeo e infine all'Ottava Sfera, al Primo Mobile e alla Prima Causa, cioè Dio.

Non sappiamo come veniva usato questo mazzo: più che carte da gioco, i tarocchi del Mantegna sembrerebbero un'opera didattica e istruttiva, cosa tutt'altro che rara in epoche in cui la diffusione delle idee non aveva la velocità odierna. Il contenuto stimolava quindi il giocatore ad un'ascesa verso la perfezione, simile al viaggio di Dante dall'Inferno al Paradiso.

Non abbiamo riferimenti per la datazione dei tarocchi di Marsiglia così chiamati per la città della Francia che ha goduto di una posizione di monopolio nella produzione di questo tipo di carte pur non avendole inventate; sebbene i primi mazzi conosciuti risalgano al XVIII secolo, lo stile delle carte a semi italiani fa propendere per l'origine latina di questo tipo di mazzo, probabilmente diffusosi dalla Lombardia in territorio francese. Uno dei modelli più conosciuti dei tarocchi di Marsiglia fu inciso su legno dal francese Claude Burdel nel 1751.

Egli aveva contrassegnato Il Carro con le sue iniziali, mentre la sua firma per esteso compare sul 2 di denari. Le figure sono intere, e - relativamente agli Arcani maggiori - recano la denominazione in francese e sono contrassegnati da numeri romani. La morte non aveva nome. Le scritte erano in un francese sgrammaticato, spesso privo di accenti e apostrofi. Gli abiti delle figure, pur nella loro forte stilizzazione, si riferiscono a prototipi rinascimentali. Il mazzo fu poi rielaborato correttamente dal francese Grimaud, e ristampato nel XIX secolo.

I tarocchi di Besançon: il più antico mazzo di questo genere databile con certezza risale al 1746, e ne conosciamo sia il fabbricante - Nicolas Laudier - sia l'incisore, Pierre Isnard. Le eccezioni più notevoli sono i Trionfi II, la Papessa, trasformata in Giunone, e il V, il Papa, diventato Giove tonante.

Le Minchiate: comparso a Firenze, questo curioso mazzo di novantasette carte fu chiamato così con probabile attinenza al membro virile, ma anche per indicare che il gioco di carte non era da prendersi sul serio. Godette di grande fortuna soprattutto nell'Italia centro settentrionale, ma fu poi gradualmente abbandonato. Le Minchiate sono una curiosa variante regionale, completamente alterata, del tarocco tradizionale. Le prime trentacinque carte, dette Papi sono seguite da cinque carte chiamate Arie: la Stella, la Luna, il Sole, il Mondo e il Giudizio finale detto Le trombe. I semi sono Denari, Coppe, Bastoni, Spade. Gli onori sono detti Cartiglia e presentano centauri al posto dei cavalieri. Tra le altre carte mancano la Papessa e il Papa, mentre sono stati aggiunti il Granduca, le quattro Virtù Cardinali, le tre Teologali, i quattro Elementi, i dodici Segni zodiacali.

Bologna, che è stata uno dei centri in cui il gioco era più attivamente praticato, non ci ha lasciato alcun mazzo completo prima del XVII secolo. I questo periodo si giocava una nuova forma di tarocco a mazzo ridotto di 62 carte, anche se non abbiamo indicazioni precise sulla data in cui vennero eliminate determinate carte. I tagli erano relativi alle carte numerali, ad esclusione degli Assi. Né il tarocchino è l'unico esempio di contrazione del mazzo: a Venezia il gioco della Trappola prevedeva trentasei carte.

Il tarocchino bolognese trionfò in questo periodo grazie a vicissitudini particolari: tra il 1663 e il 1669 un artista bolognese fantasioso e versatile, Giuseppe Maria Mitelli (1634 - 1718) incise un libro sui tarocchini dedicato a Prospero Bentivoglio. I fogli dovevano poi essere tagliati e incollati dal giocatore.

In periodo della Controriforma e con sensibilità tutta barocca, il Mitelli trasformò il mazzo eliminando la figura della Papessa e ridisegnando i Trionfi. Così l'Appeso è un uomo condannato alla pena capitale che aspetta che il boia gli fracassi il cranio con un martello; la Stella è un mendicante che avanza nella notte con una lanterna; la Luna e il Sole sono ispirati ad Artemide e ad Apollo, il mondo è un globo sorretto da un gigantesco Atlante. Anche le carte numerali hanno disegni fantasiosi, mentre nell'Asso di denari l'artista ha inciso il suo ritratto con la firma.

Un altro tipo di tarocchino bolognese, che non è mai stato usato neppure per la divinazione, risale al 1725 e fu ideato dal canonico Montieri. L'autore aveva indicato le diverse forme di stati europei, audacemente situando Bologna sotto un governo misto, laico-clericale. Dal momento che la città era inserita nei domini dello Stato Pontificio, la cosa fu giudicata irrispettosa e l'audace prelato fu incarcerato.

Il senato bolognese trovò un accordo facendo sostituire le icone irriverenti con figure di mori. In una data non precisata della seconda metà del Settecento, il tarocchino fu uno dei primi mazzi che suddivise le figure in due metà speculari.

Grazie alla sua vicinanza alla Francia, ma forse anche per influenza dell'Italia settentrionale, il Piemonte conobbe e usò ben presto i tarocchi, che sono ancora uno dei pochissimi mazzi di questo genere in produzione. Intorno al 1830 una famiglia di Torino, i Vergnano, avviarono la produzione di un nuovo modello, oggi definito "Tarocco piemontese", simile ai Tarocchi cosiddetti “di Marsiglia. Tuttavia, come ha rilevato lo storico Giordano Berti, i Tarocchi di Vergnano si distinguono dalla produzione francese per lo stile e per il contenuto di alcune carte, in particolare per il Matto, vestito con i pantaloni a sbuffo, che insegue una farfalla; per il Bagatto, che ha sul tavolo gli strumenti del calzolaio; per il Diavolo, che ha un muso di felino che spunta dall’addome; per il Giudizio, detto Angelo, dove i morti emergono dalle fiamme, collegandosi con l'iconografia popolare delle anime del Purgatorio; per l’Asso di Coppe, un vaso colmo di fiori e frutti. 

Altra variazione rispetto al mazzo "marsigliese" è l'uso dei numeri arabi al posto di quelli romani.

Nella seconda metà di quel secolo, sulla base del mazzo di Vergnano fu introdotto il modello a due teste, senza dubbio utile ai giocatori che non dovevano girare le carte ogni volta che si presentavano rovesciate.

Lo straordinario interesse che si è sviluppato intorno ai tarocchi dall'Ottocento in avanti ha spinto numerosi artisti contemporanei a reinterpretare le misteriose figure. Fra gli italiani si possono ricordare Franco Gentilini, Renato Guttuso, Emanuele Luzzati, Ferenc Pinter e Sergio Toppi. Fra gli artisti non italiani spiccano Salvador Dalí e Niki de Saint-Phalle, autrice del fantastico Giardino dei Tarocchi costruito a Garavicchio, presso Capalbio. Le fumettiste giapponesi CLAMP hanno basato sui tarocchi la loro opera X, collegata a temi mistici e strutturata in una serie di 22 volumi, di cui 21 di fumetto e uno illustrato, ognuno dei quali è introdotto da un Arcano maggiore interpretato da un personaggio della serie.

Numerosi illustratori hanno realizzato nuovi mazzi, talvolta in collaborazione con storici e letterati. Per esempio, i Tarocchi di Dario Fo sono stati dipinti dal figlio Jacopo su progetto del Premio Nobel Dario Fo, mentre allo scrittore Giordano Berti si deve la sceneggiatura di dieci mazzi realizzati da vari illustratori.

A Riola, in provincia di Bologna, è stato istituito da tempo un Museo dei Tarocchi con un'ampia raccolta di carte.



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