mercoledì 1 luglio 2015

MINERVA



Minerva, (per i greci Atena) figlia di Giove e della sua prima moglie Metide, era la dea romana della guerra, della saggezza, della poesia e della medicina nonché protettrice degli artigiani.

La leggenda narra che Giove mangiò Metide appena rimasta incinta poiché gli fu predetto che, se avesse avuto un figlio, questi lo avrebbe superato in potenza e saggezza. Nonostante ciò, quando arrivò il momento del parto, Giove fu preso da una fortissima emicrania e per questo chiese al dio Vulcano di spaccargli in due la testa dalla quale uscì Minerva armata di elmo, scudo e asta.

Gli antichi romani praticavano il culto di Minerva sul Campidoglio ma numerosi templi sorgevano anche su altri colli della città come Aventino, Esquilino e Celio.

Antica divinità italica, entrata presto, probabilmente attraverso gli Etruschi, nel novero delle divinità dei Romani; in seguito fu identificata con la greca Atena. Il suo culto fu introdotto in Roma probabilmente al tempo dei Tarquini. Con Giove e Giunone fece parte della triade capitolina. Dopo la presa di Falerii (241) fu dedicato un tempio, sul Celio, a Minerva capta; sempre all’età repubblicana (ma in una fase più antica) risale il tempio di Minerva medica sull’Esquilino; più antico ancora, forse del 6° sec. a.C. e quindi di età regia, un tempio sull’Aventino. Il primitivo culto della dea fu diffuso nel popolo da artigiani etruschi e il tempio sull’Aventino fu anche in seguito considerato come il centro religioso delle corporazioni riconosciute di arti e mestieri.
La sua festa (le Quinquatrie) era celebrata dal 19 marzo – cioè il quinto giorno dopo le Idi (nel calendario romano, questo giorno si chiamava quinquatrus) – per 5 giorni dagli artisti di qualsiasi genere; il 13 giugno si celebravano le Quinquatrie minori, festa dei suonatori e specialmente dei fidicini.

L’ellenizzazione del culto di Minerva, in origine protettrice di ogni forma di operosità artigiana e industriale, e poi, su influenza greca, anche divinità guerriera e tutrice della libertà cittadina, cominciò durante la guerra annibalica e da allora progredì continuamente. Nelle province il suo aspetto più abituale è quello italico di protettrice dei mestieri; tra i soldati erano sotto la sua tutela specialmente quelli addetti agli strumenti musicali e agli apparati burocratici.

Da un punto di vista iconografico, nell’arte etrusco-italica la figura di Minerva appare come una rielaborazione del tipo greco di Atena, talvolta con la modificazione di qualche elemento secondario del costume (diadema, calzari ecc.) e lo sviluppo di qualche aspetto particolare: come la Minerva alata che compare su specchi etruschi, la M. Kurotròphos talvolta unita a Ercole, la Minerva Tritonia di Lavinio. Anche la Minerva romana si riallaccia ai modelli greci di Atena, e come protettrice delle arti, della tessitura e della filatura appare nel fregio scolpito che orna il recinto del tempio a lei consacrato nel Foro Transitorio in Roma. Statue della dea erano nei vari Capitolia dell’Impero accanto a quelle di Giove e di Giunone. Come la dea Atena dei Greci, Minierva è anche considerata la dea della sapienza, simbolo dell’ingegno e dell’intelligenza.

Il celebre poeta romano Publio Ovidio Nasone la definì divinità dai mille compiti. Minerva fu adorata in tutta l'Italia, nonostante solo a Roma assumesse un aspetto da guerriera. Viene solitamente raffigurata mentre indossa una cotta di maglia ed un elmo, completa di lancia.

Dionigi di Alicarnasso riporta come l'antica città di Orvinium, nell'epoca in cui era abitata dagli Aborigeni, fosse dominata da un tempio dedicato alla dea.

Nel 207 a.C. una gilda di poeti e attori venne creata per fare offerte votive nel Tempio di Minerva sull'Aventino. Tra gli altri membri merita una menzione speciale Livio Andronico. Il santuario aventiniano rimase un importante centro culturale per gli artisti per la maggior parte della Repubblica romana.

Nelle Vite parallele di Plutarco (Pericle e Fabio Massimo), Minerva appare a Pericle in sogno ordinando delle cure per un cittadino malato di Atene. Dopo questo episodio venne eretta una statua in bronzo in onore delle divinità Ermes e Minerva.

Il calculus Minervae era la pietra di Minerva, cioè il voto decisivo in un organo collegiale che fosse in stallo per parità di voti su di una proposta, equamente approvata ed avversata dal medesimo numero di componenti (secondo Tito Livio circa cinquecento).

Si tratta della traduzione latina dell'Athenas psephos, il coccio che il presidente deponeva nell'urna per ultimo nella Bulè dei Cinquecento (l'organo legislativo nella Costituzione di Clistene, che però esercitava anche una funzione giurisdizionale). Tale definizione era data sull'esempio del leggendario voto di Atena in favore di Oreste, ricordato da Eschilo ne Le Eumenidi, decisivo per mandare esente da pena il matricida.

Nell'antica Roma la definizione fu ripresa nel 30 a.C. quando, nei processi criminali, un senatoconsulto riconobbe ad Ottaviano il calculus Minervae, il privilegio di aggiungere il suo voto a quello della minoranza, e quindi determinare l'assoluzione, qualora la sentenza fosse stata pronunciata con la maggioranza di un solo voto.

Nel mondo moderno la funzione del Presidente con voto decisivo in caso di parità è garantita in vari ordinamenti, tra i quali il Senato degli Stati Uniti d'America e la Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sudafrica (nella quale il presidente Desmond Tutu espresse un voto decisivo nell'ultima seduta). Ciò si distingue dallo swing vote, che è il voto oscillante di un componente non ideologizzato in un organo collegiale dispari, che tendenzialmente è portato a decidere chi vince: il caso del giudice Sandra O'Connor della Corte suprema degli Stati Uniti è considerato quello più appropriato a rendere il concetto, almeno nei tempi più recenti.



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