lunedì 7 settembre 2015

CADONO LE FOGLIE



Le giornate sembrano più corte, comincia a fare più freddo, le rondini e gli altri uccelli migratori se ne vanno verso paesi più caldi e, ad eccezione di quelli sempreverdi, gli alberi intorno a noi prima cambiano i vestiti, poi, gradualmente, si spogliano. Le loro foglie da verdi diventano gialle o arancioni o rosse e ci informano che stanno preparandosi ad affrontare l’inverno.

Le foglie con il freddo diventano rosse, ocra, gialle e poi cadono, lasciando le piante spoglie. Si tratta di un meccanismo messo a punto in millenni di evoluzione per proteggere la struttura portante delle piante.

L’autunno per noi è legato ai colori rosso, giallo, bronzo che dipingono le chiome degli alberi preludendo alla caduta delle foglie. È una sorta di ultimo spettacolo prima del gelido inverno. Questo evento, così comune nell’esperienza di tutti noi, è una prerogativa delle fasce temperate, dove esiste una stagionalità ben distinta e le latifoglie spoglianti rappresentano la parte più cospicua della vegetazione. Questo spettacolo si ha in misura molto ridotta all’estremo nord, dove predominano le conifere, e non si ha quasi per nulla nella fascia equatoriale.

Le piante si spogliano come forma di difesa contro il freddo che verrà. Si tratta di un processo veramente complesso che ha richiesto millenni di evoluzione per raggiungere questa raffinatezza. Le piante sono in grado di percepire le mutate condizioni ambientali come la discesa delle temperature, l’accorciarsi delle giornate, il variare dell’intensità nella radiazione luminosa, e a queste sanno rispondere. Le foglie, fino a quel momento il motore della pianta con il processo della fotosintesi, con l’inverno diventerebbero un peso inutile e un pericolo, per la capacità di trattenere la neve, appesantirsi e creare danni alle branche se non all’intera stabilità. Così in autunno, il progressivo raffreddamento delle temperature, mobilizza lentamente le sostanze contenute nelle foglie (zuccheri e altre sostanze organiche) verso il tronco, mentre la clorofilla (il pigmento principale che dà il colore verde al parenchima fogliare) si degrada determinando il mutamento del colore. Quando questo processo è terminato, si crea alla base del picciolo un piccolo strato suberoso funzionale al fatto che, quando la foglia cadrà, impedirà l’ingresso di patogeni e parassiti.

A fine stagione le foglie, ormai incrostate di sali e provate da fattori fisici, non più stimolate da un’intensa radiazione solare, vanno incontro a un processo di invecchiamento la cui rapidità non varia solo secondo la specie ma anche secondo l’andamento climatico, lo stato nutrizionale, la soggettività. Inoltre all’interno di una stessa pianta sono determinanti anche la posizione e l’esposizione. Sono tutti questi fattori che danno origine a quella gradualità di colori e toni diversi che fanno così ricco l’autunno.



Mentre il verde scompare, ecco avanzare il rosso: il colore è dovuto alla presenza nelle foglie di antocianine o flavonoidi, sostanze che vengono prodotte totalmente o in maggior quantità solo in autunno. Non tutti gli alberi possono produrle e le condizioni climatiche ne influenzano il livello: un cambio repentino di stagione, un’ondata di gelo improvviso o acqua battente per più giorni, seguiti da una cascola rapida non danno tempo alle foglie di produrne a sufficienza; un autunno fresco e prolungato con un calo progressivo delle temperature, giorni soleggiati e notti fredde, e cascola scalare regalerà una tavolozza di colori più ricca di rossi.

I carotenoidi, i pigmenti cha vanno dal giallo all’arancione, invece sono sempre presenti nella foglia perché attivamente coinvolti nel processo fotosintetico: assorbono l’energia della radiazione e la trasferiscono alla clorofilla. Venendo meno la clorofilla, non più schermati, anche più accesi per via dei processi di ossidazione, possono manifestarsi nel loro splendore.

Se è vero che “non ci sono più le mezze stagioni”, come afferma un luogo comune, è vero anche che non ci sono più gli autunni di un tempo a causa soprattutto dei fenomeni riconducibili al mutamento climatico in atto. Le estati calde e siccitose ritardano la comparsa dei colori autunnali e abbreviano la permanenza delle foglie colorate sui rami; gli autunni con notti calde e piovose contrastano la formazione di tinte accese.

Da qualche anno i colori dell’autunno sembrano più vivi e più spettacolari del solito: la temperatura e il grado di nuvolosità del cielo influiscono soprattutto sulle tonalità di rosso delle foglie. Perché questo colore si manifesti bene, occorre però che ci siano più giorni consecutivi assolati e notti fredde, ma non da gelate. Il calore del sole fa sì che la fotosintesi produca molti zuccheri, ma il freddo della notte rallenta, se non ferma del tutto, il trasporto della linfa dalle foglie ai rami e al tronco. A questo punto la pianta produce le antocianine, come forma di protezione adatta a “recuperare” i nutrienti prima che le foglie cadano e che serviranno come riserva di energia per prepararsi per la nuova stagione di accrescimento. Anche la pioggia, oltre alla luce ed alla temperatura, influisce sul colore autunnale delle foglie: una siccità prolungata potrà ritardare di qualche settimana le colorazioni; molte giornate piovose e calde le renderanno meno intense e brillanti mentre forti gelate precoci faranno diventare le foglie marroni e le faranno cadere precocemente.

I colori più belli dei boschi d’autunno si avranno dunque quando ci saranno stati una primavera piovosa e tiepida, un’estate non troppo arida né troppo afosa, un autunno con molti giorni di sole e notti fredde.

Tronco, radici, rami e rametti degli alberi sono sufficientemente “robusti” da poter supportare anche forti gelate invernali, ma per le foglie questo non vale. Prendiamo ad esempio una latifoglia, ovvero un albero con foglie larghe, come il castagno o l’acero o il platano o la roverella. Quando la temperatura si abbassa di molto, la linfa che scorre nei vasi delle foglie tende a congelare e quindi a far gelare anche le cellule, che muoiono. Ma l’albero non può permettere che la linfa si congeli anche all’interno dei vasi del tronco e dei rami e quindi si difende, “sigillandoli”. Con il diminuire delle ore di luce del giorno, uno strato di cellule chiamato “strato di separazione” gradualmente si forma alla base del picciolo che sorregge la foglia, fino a chiudere i vasi: quando la chiusura è completa la foglia si stacca e cade e l’albero è pronto ad affrontare anche inverni molto freddi. Fa eccezione la roverella,  le cui foglie marroni rimangono attaccate ai rami fino alla primavera successiva. Per questa sua caratteristica, in qualche regione d’Italia la roverella è chiamata “la quercia con il pigiama” che conserva per tutto l’inverno e che toglie solo a primavera.  Pini, abeti, ma anche lecci e sughere hanno le foglie protette da uno spesso strato di cera e contengono anche olio, che resiste al gelo; l’albero non ha bisogno di proteggersi e manterrà le sue foglie anche per diverse stagioni.



Si potrebbe pensare che una volta cadute sul terreno le foglie hanno esaurito il loro ruolo nella natura. In realtà non è così. Anche da morte, le foglie continuano a svolgere un compito importantissimo: a terra serviranno da nutrimento a batteri, funghi, insetti e vermi che le decomporranno, rendendo di nuovo disponibili sostanze nutrienti per le piante. I tappeti di foglie cadute, così belli soprattutto nelle faggete di montagna, formeranno l’humus soffice e spugnoso che assorbe e trattiene l’acqua delle piogge.

A dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che in natura tutto ha un senso e niente va sprecato!

La chioma è in testa – è proprio il caso di dirlo – alle preoccupazioni degli italiani: un recente studio ha infatti evidenziato come per due italiani su cinque la prospettiva di perdere i capelli faccia più paura che non ingrassare.
Nonostante le preoccupazioni, i dati parlano chiaro: sono 6 italiani su 10 a essere colpiti dalla perdita di capelli.

Dietro alla perdita precoce e inusuale di capelli vi possono essere diversi fattori, tra questi malattie, predisposizione genetica, una dieta scorretta e anche lo stress.
Altro fattore che si ritiene possa influire sulla caduta dei capelli è il cambio stagionale: con quello tra l’estate e l’autunno in primis.
Secondo gli esperti si tratta di un fenomeno fisiologico molto semplice. Il cui processo dipende oltre che dallo stress post-estate anche dalla variazione delle ore di luce nell’arco della giornata: un meccanismo complesso mediato nell’organismo dalla melatonina, l’ormone coinvolto nel processo di regolazione luce/buio o sonno/veglia.

Il problema, che si protrae fino alla fine di novembre, riguarderebbe tutti indistintamente: sia uomini che donne, vecchi e giovani. L’aumento della caduta che si registra in media è di circa il 20% - 30% di capelli in più rispetto al resto dell’anno. A confermarlo scientificamente è uno studio dell’IHRF, la Fondazione di ricerca per la patologia sui capelli, presieduta dal dottor Fabio Rinaldi, docente presso la Sorbona e dermatologo a Milano.
Su 500 pazienti intervistati in tutta Italia da esperti dermatologi, infatti ben il 59% ha riscontrato un’ aumento della caduta dei capelli confermando il disagio; il 30% invece li trova più sottili e sfibrati e solo l’11% non ha rilevato nessun cambiamento particolare. A quanto sembra sono le donne quelle che soffrono di più di questo disturbo con una percentuale del 43% che supera di molto quella degli uomini (29%).

Ricorre a trattamenti nutritivi il 37% degli intervistati; il 28% utilizza oli e lozioni che promuovono la stimolazione cellulare; il 25% si serve di impacchi e maschere che abbiano un effetto ristrutturante e infine il 10% cura il problema con l’alimentazione.
«Non c’è da allarmarsi – spiega il dott. Rinaldi – è semplicemente stress caratterizzato dall’estate appena trascorsa, quando ci si ritrova scarichi di energia e pieni di tensione, tutti elementi che si riflettono sul capello aumentandone il suo naturale ritmo biologico. Naturalmente soffre di più chi ha i capelli lunghi: infatti la caduta è più accentuata, perché a quella stagionale si aggiunge la tradizionale fragilità del capello lungo, che si spezza con maggiore facilità».
«A livello preventivo e precauzionale – aggiunge Rinaldi – è opportuno agire con una buona alimentazione ricca di principi nutritivi e con prodotti che ristabiliscano quelle condizioni ideali dei capelli. Utilizzando degli integratori con aminoacidi o delle lozioni a base di polipeptidi, che sono delle piccole parti dei fattori di crescita che promuovono la stimolazione cellulare e quindi la formazione di capelli nuovi».



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