martedì 8 settembre 2015

GLI ELEFANTI DI ANNIBALE

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Il grande generale cartaginese Annibale raggiunse le Alpi nel 218 avanti Cristo provenendo dalla Spagna. Le sue truppe (circa 26 mila uomini, dei 100 mila partiti), impiegarono due settimane per valicare le montagne, durante il mese di ottobre, prima di invadere l’Italia con 37 elefanti da battaglia al seguito. La traversata fu terribile e il generale perse sui passi alpini quasi la metà del suo già decimato esercito. Gli elefanti erano stati domati per la prima volta e usati a scopo bellico dai Numidi. Quelli di Annibale erano i Loxodonta africana cyclotis, che raggiungono i 2,3 metri di altezza, ossia un po' meno degli elefanti africani che vivono nella savana.

Ai tempi di Annibale questa specie viveva anche sulle alture dell’Atlante (Africa settentrionale) e fu un'arma segreta tremenda e decisiva, che però venne usata in battaglia contro i Romani una sola volta, sul fiume Trebbia nel dicembre del 218 a. C.. I primi a usare gli elefanti in battaglia erano state le popolazioni dell'India seguite, nel IV secolo a. C., dall'esercito di Alessandro Magno. Tutti questi, però, avevano impiegato elefanti asiatici, più piccoli e facili da domare rispetto alla specie africana.

Nella lunga marcia verso l'Italia dopo aver attraversato, terrorizzati, il fiume Rodano su zattere di fortuna e avere affrontato gli impervi passi alpini, le bestie morirono una dopo l'altra dopo aver raggiunta la pianura Padana. Infatti, solo uno dei poveri elefanti di Annibale sopravvisse alla battaglia vinta dai cartaginesi sul fiume Trebbia, nel dicembre del 218 a. C. e, soprattutto, al rigido inverno dell’Italia settentrionale.

La traversata colse di sorpresa i Romani sia perché gli elefanti erano bestie praticamente sconosciute in Europa, sia perché l’impresa aveva del leggendario. L’obiettivo di Annibale era arrivare in Italia prima dell’inverno; arrivò alla sommità del passo sulle Alpi “nel momento in cui tramonta la costellazione delle Pleiadi”, quindi nell’ultima decade di ottobre, circa un mese dopo l’equinozio d’autunno. All’epoca passare le Alpi era possibile in pochi punti, il Brennero, il Piccolo San Bernardo ed il Monginevro (dove già erano passati i Galli per attaccare Roma, ad esempio l’attacco spesso ricordato come quello delle “oche del Campidoglio” è del 360 a.C.). La marcia fu senza dubbio dura (si doveva salire oltre i 2000 m), gli uomini ed animali già avevano percorso 1500 Km in quattro mesi, il percorso fu inoltre ostacolato dalla pioggia violenta e gelida, da venti impetuosi, dalla neve già caduta in settembre ed ottobre e dagli attacchi di alcuni gruppi locali. Sul valico Annibale secondo Polibio arrivò con soltanto 26mila uomini, 20mila fanti e 6mila cavalieri. Dei centomila partiti dalla Spagna, in sessantamila superarono i Pirenei, in cinquantamila superarono il Rodano per presentarsi alle pendici delle Alpi. Nella traversata quasi ventimila persero la vita (qualcuno degli storici ritiene falsato il numero delle persone partite dalla Spagna mentre sarebbe più corretto quello finale sulle Alpi). I 37 elefanti al seguito, passarono le Alpi raffreddati ed ansimanti da far spavento, ma tutti riuscirono a far scavalcare alle proprie cinque tonnellate la barriera delle Alpi. Però la loro vita durò poco, prima che l’anno finisse tutti morirono una volta arrivati alla pianura e all’inverno. Tutti escluso uno che rimase come superstite simbolico dell’impresa. Quando a fine novembre Annibale avanzò lungo la Valle del Po il clima era di tipo autunnale, salvo le nebbie notturne e qualche piovasco, l’aria fu percepita come ancora tiepida. Ma come era il clima in Italia all’epoca di Annibale? Secondo il generale inglese, Sir Gavin de Beer, che passò l’intera vita a studiare le mosse di Annibale sulle Alpi “la temperatura era forse un po’ più calda ma certamente non più fredda dei giorni nostri”.



Gli elefanti da guerra erano armi importanti, anche se non largamente usate, nell'antica storia militare. Venivano principalmente utilizzati nelle cariche per scompaginare i ranghi dei nemici.

Gli elefanti da guerra erano esclusivamente animali maschi, scelti perché più veloci, più pesanti e più aggressivi delle femmine.

L'arte di domare gli elefanti nacque nella Valle dell'Indo circa 4.000 anni fa e non si declinò mai in un processo di addomesticamento propriamente detto. Gli animali domestici veri e propri, come il cane o il bove, vennero fatti oggetto di un processo di allevamento selettivo. Gli elefanti invece, probabilmente a causa del loro cattivo carattere, dell'eccessivo costo di un'eventuale allevamento e alla lenta crescita (un pachiderma impiega 15 anni per diventare adulto) vennero, a parte rare eccezioni, catturati selvatici ed in seguito domati e addestrati per molti usi. I primi a essere domati furono gli elefanti asiatici per sfruttarne la potenza in attività agricole. Le prime applicazioni militari degli elefanti datano attorno al 1100 a.C. e menzionate in numerosi inni in sanscrito.

Dall'Estremo Oriente, gli elefanti da guerra raggiunsero l'Impero Persiano dove furono utilizzati in svariate campagne belliche. La Battaglia di Gaugamela (1º ottobre del 331 a.C.) combattuta da Alessandro Magno fu probabilmente il primo confronto di europei con gli elefanti da guerra. I quindici animali posti al centro delle linee persiane crearono una tale impressione sulle truppe macedoni che Alessandro sentì la necessità di compiere un sacrificio al dio della "Paura" (Phobos) la notte precedente la battaglia. Gaugamela fu il più grande successo di Alessandro che vinse probabilmente anche perché, nello schieramento, pose la sua cavalleria lontano dagli elefanti. Nella successiva conquista della Persia, Alessandro perfezionò la sua conoscenza dell'uso di questi animali e ne incorporò parecchi nel suo esercito.

Il successo dell'uso degli elefanti da guerra si allargò a tutto il mondo conosciuto. I successori di Alessandro, i Diadochi usarono centinaia di elefanti da guerra indiani nelle loro guerre. Egizi e Cartaginesi iniziarono a domare gli elefanti africani per gli stessi scopi, mentre i Numidi utilizzarono gli elefanti delle foreste. Gli elefanti africani sono più grandi e, a differenza degli elefanti asiatici, sia i maschi che le femmine possiedono le zanne (arma potente e preziosa in guerra).

Nei secoli successivi il maggior uso degli elefanti da guerra fu contro le legioni di Roma; dalla Battaglia di Heraclea (280 a.C.), alle Guerre macedoniche, gli elefanti terrorizzarono le forze romane che non li conoscevano. La battaglia di Heraclea fu la prima occasione in cui vennero utilizzati tali animali, e fu vinta dai Tarantino-Epiroti proprio grazie all'uso degli elefanti, armi potenti e micidiali per la prima volta affrontate dai Romani. Fu la potenza e la stazza di questi enormi pachidermi a garantire a Pirro la vittoria su Roma. Ma i Romani trovarono il modo di resistere agli elefanti. E Pirro dopo un primo uso con successo nella battaglia di Heraclea, già al secondo scontro (Battaglia d'Ascoli d'Apulia) dovette rendersi conto di non possedere un'arma irresistibile. Anche Annibale che faceva conto sulla forza degli animali proboscidati, portò con sé 37 elefanti da guerra durante la traversata delle Alpi, però gli elefanti, non abituati al freddo, essendo di origine nordafricana, morirono tutti eccetto Surus, il leggendario elefante di Annibale, passato alla storia come il più valoroso elefante di tutte le guerre puniche, che sopravvisse ma morì di malaria poco dopo. Alla sua morte Annibale costruì una città in suo onore. Nella battaglia finale di Zama (202 a.C.) la carica degli elefanti cartaginesi risultò inefficace.



Annibale lanciò la carica degli elefanti ma ormai i Romani avevano imparato come trattare quelle enormi bestie; con trombe acute e alte grida spaventarono i bestioni che, imbizzarriti, si volsero contro la cavalleria numidica dell'ala sinistra cartaginese. Massinissa che era posto di fronte a questa con i suoi cavalieri, approfittò della disorganizzazione per sbaragliare totalmente gli avversari diretti. Qualche elefante che non si era spaventato si avventò contro la fanteria romana. I manipoli degli hastati romani, utilizzando lo spazio libero, semplicemente si fecero da parte lasciando passare i bestioni lasciandoli alla mercé di princepes e velites che colpendoli di fianco e davanti li costrinsero alla fuga. Questi elefanti si avventarono contro l'altra ala della cavalleria cartaginese.

Più di un secolo dopo, nella Battaglia di Tapso (6 febbraio del 46 a.C.), Giulio Cesare armò la sua Legio V (Alaudae - Allodole) con delle assi e comandò ai legionari di colpire le zampe degli elefanti. La legione resistette alla carica e l'elefante ne divenne il simbolo.

Un'arma anti-elefante si trovò nel maiale. Plinio il Vecchio riporta come "gli elefanti vengano spaventati dal più piccolo stridio di un maiale" (VIII, 1.27). Si ricorda inoltre come un assedio di Megara sia stato infranto dopo che i Megaresi avevano imbrattato di olio dei maiali, dato loro fuoco e spinti verso la massa degli elefanti da guerra del nemico. Gli elefanti da guerra si imbizzarrirono per il terrore dei maiali incendiati e stridenti.

Anche lo scrittore romano Vegezio nella sua opera Epitoma rei militaris riporta, in un capitolo del terzo libro, numerosi esempi, attrezzi e stratagemmi da utilizzare contro gli elefanti: Per esempio uccidere i conducenti utilizzando i frombolieri o spaventarli col fuoco. Inoltre gli elefanti si muovono in maniera assai impacciata su un terreno sconnesso o montagnoso.

Nel Medio Evo gli elefanti furono usati spesso. Carlo Magno usò il suo elefante Abul-Abbas quando partì per combattere i Danesi nell'804. Le Crociate diedero a Federico II, Imperatore del Sacro Romano Impero, l'opportunità di catturare in Terra Santa un animale che più tardi userà nella conquista di Cremona nel 1214.

Fu l'uso di elefanti, ancora da parte di un sultano Indiano che pose quasi fine alle conquiste di Tamerlano. Nel 1398 l'esercito di Tamerlano affrontò in battaglia più di cento elefanti indiani e fu quasi sconfitto per la semplice paura delle sue truppe. Testi storici ci dicono che i Turchi vinsero grazie ad un'ingegnosa strategia, Tamerlano pose del fuoco sulla groppa dei suoi cammelli prima della carica. Il fumo fece correre in avanti i cammelli che spaventarono gli elefanti e questi calpestarono le loro stesse truppe nel tentativo di fuggire. Un altro racconto della campagna (quello di Ahmed ibn Arabshah) asserisce che Tamerlano usò grandi triboli (chiodi a quattro punte) per fermare la carica degli elefanti. Più tardi il comandante timuride utilizzò gli animali contro l'Impero Ottomano. Con l'avvento dell'uso bellico della polvere pirica, nel tardo XV secolo, gli elefanti divennero obsoleti.

Sono numerose le situazioni di tipo militare in cui gli elefanti possono essere utilizzati. Essendo animali enormi possono portare carichi pesanti e costituire robusti mezzi di trasporto. In battaglia, gli elefanti da guerra erano generalmente dispiegati al centro della linea dove potevano utilmente prevenire una carica oppure compierne una essi stessi.

Una carica di elefanti può raggiungere i 30 Km/h e contrariamente a una carica di cavalleria non può essere facilmente fermata da una linea di fanteria o di cavalleria. L'efficacia di una carica di elefanti è basata sulla pura forza bruta. Entra nella linea dei nemici sconvolgendola e scompaginandola. Gli uomini che non ne sono calpestati vengono come minimo spinti da parte o costretti ad arretrare. Inoltre, il terrore che un elefante può ispirare in un nemico non abituato a combatterlo (come i romani) può causare la sua fuga al puro inizio della carica. Nemmeno la cavalleria può considerarsi al sicuro perché i cavalli, non abituati all'odore degli elefanti si spaventano facilmente. La spessa pelle dell'elefante lo rende difficile da uccidere o comunque neutralizzare mentre la sua statura e massa forniscono un'eccellente protezione ai trasportati.

Sono inoltre infinite le capacità che fanno dell'elefante da guerra la macchina da combattimento più potente del mondo antico. L'elefante incute terrore alla sua vista e con zanne, zampe, proboscidi egli può schiacciare il nemico, schiantarlo a terra o infilzarlo a morte. Gli elefanti possono inoltre portare sul dorso delle torri che contenevano arcieri capaci di colpire il nemico da lontano. L'elefante inoltre può essere corazzato. Un esempio sono gli elefanti cartaginesi corazzati persino sulla proboscide e sulle orecchie.

Gli elefanti cadono però facilmente nel panico: dopo aver subito piccole ferite oppure quando il loro conducente viene ucciso si possono facilmente imbizzarrire e procurare danni a caso nel tentativo di sfuggire. Una loro fuga nel panico può causare gravi perdite in entrambi i campi. La fanteria romana, una volta resa esperta, in genere cercava di colpirli al tronco, causando un panico immediato facendo retrocedere gli animali fra le loro stesse linee. La loro facile suscettibilità e il loro costo fu la causa del loro progressivo disuso, nel tempo.

Nelle guerre puniche un elefante da guerra era pesantemente corazzato e portava sul dorso una torre, chiamata howdah, con un equipaggio di tre uomini: arcieri e/o lancieri armati di sarissa (una lancia lunga sei metri). Gli elefanti della foresta, molto più piccoli dei loro cugini Africani o Asiatici, non erano abbastanza forti da reggere una torre e portavano solo due o tre uomini. C'era anche il guidatore, chiamato mahout, usualmente un Numida, che era responsabile del controllo dell'animale. Il mahout era anche fornito di uno scalpello e di un martello per colpire la spina dorsale e uccidere l'animale se impazziva.


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