giovedì 8 ottobre 2015

LE MONDINE

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« Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto
che ci ha sempre maltrattato
fino all'ultimo momen'

Saluteremo il signor padrone
con la so' risera neta
pochi soldi in la cassetta
e i debit da pagar... »

La risaia, interessò migliaia di lavoratori, innanzi tutto lo sfruttamento intensivo di larghe fasce di manodopera femminile, locale ed immigrata.
Si trattava di donne spesso molto giovani, che prendevano in considerazione il lavoro della mondina, come una fatica ma, allo stesso tempo un modo per liberarsi dalla vita familiare. Era prima di tutto questo che separava le mondine forestiere da quelle locali. Per queste ultime la risaia non era un fenomeno transitorio ma una costante presenza nella loro vita, infatti, ci  lavoravano tutto l’arco della vita e,  per un tempo per lo più  lungo addirittura il triplo,  se si considerano anche la mietitura e trebbiatura del riso. Le mondine locali erano le donne dei "paisàn" in pratica i contadini e dei salariati obbligati, seguivano quelle dei piccoli affittuari (perdapé). Queste ultime partecipavano spesso alla monda stagionale presso i grandi proprietari e/o affittuari, svolgendo in molti casi il compito di caposquadra: si trattava di un indiretto tributo che il "perdapé" doveva pagare al fittabile a cui era soggetto per bisogni primari come, ad esempio, la regolamentazione delle acque.
Le differenze socio-culturali tra questi gruppi di donne si traducevano in comportamenti differenti, sul lavoro e nella vita privata. Le mondariso forestiere, vivevano questi due mesi e mezzo, costrette a condividere tutto, dagli spazi alle abitudini,  da rendere inevitabile una forma intensa di solidarietà, che, da una parte, erano motivo anche di una loro profonda emancipazione sociale, dall’altra, la popolazione locale vedeva nella loro presenza un elemento di disturbo e di possibile traviamento etico o sessuale.

Le donne dei salariati vivevano in cascina ed avevano un contatto più diretto con le stesse mondine forestiere,  per buona parte di loro il lavoro in campagna era continuativo, da febbraio a novembre, e inoltre godevano di una sistemazione favorevole rispetto alle braccianti, poiché, oltre ad essere più vicine al luogo di lavoro, la loro era una collocazione stabile.
Per il reclutamento le obbligate si trovavano privilegiate in quanto già inserite nell'organizzazione del lavoro; questo, sotto un certo punto di vista, poteva svantaggiarle, costringendole ad alti ritmi per compiacere l'autorità padronale (una contraddizione presente in tutto il lavoro obbligato della cascina) ma, allo stesso tempo, finiva per porle in una condizione di superiorità nei confronti sia della manodopera stagionale immigrata che di quella del luogo.
In una collocazione affine alle obbligate, per mansioni e tempi di lavoro, erano le donne dei "perdapè", costrette ad integrare il bilancio familiare impiegandosi presso i grandi fittabili o i proprietari terrieri. Ma la loro non era una posizione completamente subalterna, innanzitutto perché l'assunzione (sino all'istituzione del collocamento) veniva negoziata direttamente dal capofamiglia col datore di lavoro, inoltre perché, terminata la "giornata", queste donne si recavano nelle loro risaie e da dipendenti ridiventavano " Poteva succedere che il piccolo affittuario assoldasse una squadra di locali (o singole mondine) per il "quart" (corrispondente a due ore e mezza). Queste lavoratrici si trovavano così ad essere subordinate ad una loro compagna in provvisoria veste di padrona. Dal punto di vista sociale dunque, le donne dei "perdapé" non si equiparavano né alle obbligate, né alle braccianti, da cui erano divise per condizione economica e persino abitativa. Nell'ultimo gradino dell'organizzazione del lavoro locale stavano le braccianti, le quali  hanno saputo conquistarsi un ruolo di primo piano nelle squadre, pur relegate in risaia ad una funzione sottomessa. Per la struttura patriarcale della famiglia contadina la donna non era mai inserita come individuo a sé ma come moglie, madre o figlia Questa situazione restò immutata sino al dopoguerra quando l'industrializzazione da un lato e la progressiva meccanizzazione delle campagne dall'altro contribuirono anche in Lomellina a scardinare questo sistema.
Le braccianti, in quanto appartenenti ad una famiglia bracciantile, non avevano altro sbocco occupazionale e condividevano l'emarginazione degli uomini all'interno della comunità.  Queste donne si distinguevano nelle squadre perché più combattive, proprio per una maggior consapevolezza  dei meccanismi di sfruttamento di cui erano vittime.  La risaia, imponendo alle donne di ritrovarsi annualmente, per un periodo di tempo fisso e abbastanza lungo, contribuiva ad innescare scambi culturali molto vivi, se pur appartenenti a gruppi sociali diversi, erano accomunate poi dalla medesima condizione di lavoro che poneva loro anche problemi nella gestione del ménage familiare e nella qualità della vita, da tutte percepita come particolarmente fragile in quel periodo.



Mentre progressivamente anche se lentamente si ebbero modificazioni nell'orario di lavoro (si passò dalle 12 ore al giorno graduatamente fino alle 8), aumentò nel medio termine la fatica delle mondariso locali impegnate, dal momento dell'instaurazione del trapianto (da maggio a luglio), in varie occupazioni nuove: estirpazione del vivaio, trapianto e monda del trapianto, Quindi, mentre le forestiere furono di regola coinvolte in un solo compito, monda o trapianto, le locali erano impegnate in tutto il ciclo della lavorazione del riso. Lo sfruttamento della manodopera locale si prolungava per vari mesi, in tale periodo le donne dovevano organizzare la propria vita domestica in funzione della risaia, trovandosi così di fronte a difficoltà sconosciute alla maggior parte delle forestiere. Uno dei problemi più gravosi fu quello della sistemazione dei figli, risolto soprattutto dopo la grande guerra con l'istituzione regolare di asili e nidi, molti dei quali sorsero durante il fascismo.  Precedentemente poteva accadere che i bambini fossero lasciati alle cure dei fratelli maggiori o di donne anziane o, addirittura portati in risaia e, se neonati, posti in ceste ai lati del campo. Quando fu concessa per legge (1907) mezz'ora di allattamento, molte donne si sobbarcarono la fatica di ritornare in paese o in cascina, o di far portare da qualche parente i neonati in risaia per allattare, con disagi e pericoli per la salute sia dei piccoli che, delle donne stesse.

Un altro problema era quello della preparazione dei pasti. Nelle famiglie se la donna si assentava per tutto il giorno lavorando nei campi, veniva consumato un solo pasto caldo la sera. In tempi lontani, quando l'orario si protraeva sino al tardo pomeriggio, le donne preparavano spesso l'occorrente per la minestra di riso e fagioli la sera precedente.  Le donne si alzavano prestissimo (le due o le tre del mattino) per cuocere la minestra mentre sbrigavano altre faccende come il bucato. Alle fatiche già elevate va aggiunta quella del raggiungimento del posto di lavoro, anche a 2-3 chilometri dal paese, la distanza era coperta a piedi, solo più tardi si diffuse l’uso della bicicletta.  Tra le due guerre, quando l'orario pomeridiano si accorciò, molte donne presero l'abitudine di cucinare al ritorno dai campi. Va inoltre ricordato che molto spesso l'orario di lavoro era solo apparentemente più breve rispetto alle forestiere, poiché molte vi aggiungevano le due ore e mezzo (quart)  Un'altra attività comune era quella di andare, terminato il lavoro in risaia, a spigolare il grano. La battaglia per le otto ore del proletariato lomellino dovrebbe, in questa prospettiva, essere intesa anche come una battaglia per conquistare tempo da dedicare ad attività integrative, necessarie per alleviare parzialmente lo stato di bisogno e di diffusa povertà. Ma nella lotta per la diminuzione dell'orario le locali trovarono forti ostacoli nelle forestiere che, se pur sfruttate, erano tuttavia poco sensibili a questo tema poiché vedevano la loro presenza in risaia come provvisoria ed erano interessate ad un lavoro intensivo e,  di breve durata non solo per risparmiare le spese del vitto (detratte dalla paga) ma anche perché non avevano l'esigenza di disporre di altro tempo da spendere al di fuori delle ore trascorse in risaia.

L'abbigliamento consisteva in:

calze di cotone e fazzoletto tirato sul viso, a protezione contro le punture dei numerosi insetti infestanti questi ambienti palustri
cappello a larghe tese per riparo dal sole
gonne
Oggi il ruolo delle mondine viene svolto dai diserbanti.





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