martedì 6 ottobre 2015

VIVERE IN UN BUNKER

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C'è chi scava nel terreno per seppellire la paura in superficie. Migliaia di chilometri quadrati di tane sparse anche in Italia, al riparo dal terrore dell'atomica, dalle guerre e dalle epidemie. Il senso comune la chiama paranoia. Molti psicologi la definiscono una tendenza estrema dell'istinto di sopravvivenza. Di sicuro è qualcosa che è da sempre nel dna umano, ieri come oggi. Prima, a costruirsi i bunker erano i dittatori, i capi di Stato ed i criminali. Poi i personaggi dei fumetti, da Batman a Diabolik o Zio Paperone. Con una costante: la grossa disponibilità di denaro. Oggi in Italia, invece, sono anche piccoli imprenditori e persone della media borghesia - soprattutto del Centro Nord del Paese - che rinunciano all'auto nuova per quella scatola di cemento blindata, al riparo del resto del mondo.

Una cellula il più inattaccabile possibile: dalla 'porta beton' con uno spessore di 30 centimetri di cemento (quelle per i rifugi militari arrivano ad un metro), agli impianti di ventilazione schermati contro le detonazioni nucleari, le cisterne d'acqua da mille litri ognuna, sistemi radio per contatti con l'esterno, i letti con materiali ignifughi o le vernici senza sostanze organiche volatili. Un modello 'svizzero' che sta facendo scuola: nello Stato elvetico è obbligatorio disporre della possibilità di un rifugio in caso di emergenze. Chi ha una villa ha anche un bunker, mentre chi non l'ha costruito può usufruire di quelli collettivi, messi a disposizione dallo Stato sotto pagamento. In Italia, costruirsi un rifugio antiatomico non è previsto dai piani regolatori. Perciò queste strutture, nonostante abbiano pronte blindate e quei parametri previsti dalla sigla 'Nbc' (Nucleare, Battereologico, Chimico) vengono dichiarate come cantine. Ma al posto del vino invecchiato ci sono maschere antigas.



I bunker sono un simbolo, null'altro. Sono il simbolo plateale dell'attaccamento al territorio della mafia, di un male radicato ed inestirpabile, come i blocchi di cemento armato costruiti sottoterra che si trasformano in anfratti di latitanza. I bunker testimoniano il potere che non lascia tracce, ribadiscono il concetto di una presenza invisibile ma inevitabile.

Per scendere in un bunker bisogna essere forte di stomaco, e trattenere i conati di vomito, perchè il puzzo di chiuso mischiato all'umido dà subito alla nausea. Quando poi finalmente si è dentro, è la prima cosa che si pensa, a come sia possibile immaginare di vivere in quei loculi sotterranei, in buchi microscopici e fetenti rivestiti di normalità, arredati per dare la parvenza di una vita non vissuta.
Perchè la Camorra, proprio come la 'Ndrangheta, Cosa Nostra e la Sacra corona unita, ha abbracciato la religione dell'accumulazione capitalistica. L'ortodossia dei boss è il denaro: si preferisce accumulare, piuttosto che vivere.
Si può comprendere cosa sia una mafia soltanto parametrando i sacrifici che i boss sono disposti a fare pur di rimanere lì dove producono affari e ricchezza. Anche se ricercati dalle polizie di tutto il mondo, questi preferiscono continuare a vivere nei loro feudi, sottoterra. Lì dove si comanda, o si muore.

Queste le nuove strategie delle mafie aziendaliste: l'affermazione del capitale prima di tutto, della supremazia mafiosa sulla società e l'economia locale. Anche a costo di concretizzare la follia umana della latitanza sotterranea per anni, lustri, decenni, di esprimere un potere catacombale, comunque incontestato.
Dalle catacombe però, i boss vengono estratti. E' questione di tempo, lo Stato c'è eccome. Immagino allora quel capo di Camorra impotente e sepolto dalla sua potenza e tra le sue stesse mura, costretto ad ascoltare gli anfibi dei militari sempre più vicini, il fragore metallico delle mitragliette impugnate convulsivamente, le urla di giubilo di chi ha scovato la pista giusta. Immagino il suo volto, spaesato e sconfitto.




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